giovedì 31 marzo 2011

Gioventù ribelle, il videogioco sull'unità d'Italia definito il peggiore della storia

Ci risiamo. Dopo il sito istituzionale del nostro paese, costato milioni di euro e presentato in un inglese pessimo da Francesco Rutelli, sbeffeggiato e deriso da mezzo mondo, ecco il nuovo prodotto/bidone governativo che ancora una volta ci fa apparire come gli zimbelli del pianeta. Questa volta si tratta di un videogioco, Gioventù ribelle, uno sparatutto prodotto per celebrare il 150° dell'unità d'Italia. Realizzato da alcuni studenti all'ultimo anno dello Ied, era stato presentato addirittura come competitivo a livello mondiale con i grandi titoli dell'industria americana dell'intrattenimento. Niente di più lontano dalla realtà. Gioventù ribelle è una vera e propria porcheria, lo dico da fruitore di videogiochi e in particolare di sparatutto. La prima cosa a far sorridere amaramente è l'intento per cui è stato realizzato: "Il videogioco Gioventu' Ribelle nasce con il duplice intento di celebrare l'eroismo e l'amor di Patria di giovani coraggiosi, il cui sangue e' stato versato per unificare il nostro Paese, e di parlare ai giovani d'oggi con il loro linguaggio, che in parte e' anche quello dei videogiochi" (dal sito "gioventù ribelle", del ministero della gioventù). In pratica un lavoro che avrebbe dovuto avere come primo fine quelle di educare le giovani generazioni. E naturalmente a tale scopo si utilizza uno sparatutto dove a malapena si scorgono alcuni monumenti della Roma ottocentesca e si può addirittura arrivare a sparare al papa. Incredibile. Di culturale dunque non c'è proprio nulla.

Per quanto riguarda la parte videoludica, invece, le cose vanno ancora peggio. Il gioco, infatti, è realizzato su di un motore grafico, l'Unreal, presentato dalla Epic game nel 1998. All'epoca era uno dei migliori ma oggi è addirittura preistorico. L'avventura, o come la volete chiamare, si sviluppa in un'ambientazione pessima (vedere il video pubblicato alla fine del post), dove gli avversari, i soldati papalini, sono completamente immobili come degli spaventapasseri, riducendo il tutto ad un tiro al bersaglio. Per di più è possibile giocare solo in modalità "god", cioè senza che i nemici possano farci un graffio e quando li si colpisce una voce in sottofondo scandisce: "KIll"!!! Quando ne si ammazzano due addirittura: "double kill"!!! Si, in inglese, in un gioco che vuole celebrare l'amor di patria. Incredibile. Fare tante cazzate insieme è quasi un record.

Il coordinatore del progetto, Raul Carbone, dopo l'uscita della demo si è subito affrettato a declassare il lavoro da "competitivo a livello mondiale" a "tesi di laurea di studenti all'ultimo anno dello Ied". Anche se fosse così, penso che questi studenti saranno bocciati.

Rimane però l'ennesima pessima figura fatta dal nostro paese a livello mondiale, e proprio su di un prodotto che vuole celebrare il nostro Risorgimento. Due siti americani specializzati nel settore dei vieogiochi, NeoGaf e Destructoid, hanno definito il game come il "peggiore di tutti i tempi". Insomma, un altro piccolo tassello si aggiunge alla caduta libera della credibilità e del blasone internazionale del nostro paese.





mercoledì 30 marzo 2011

In Germania trionfano i verdi, in Italia non esistono


Il dramma giapponese, con annessa possibile catastrofe nucleare, ha riaperto il dibattito sull'opportunità di utilizzare l'atomo per produrre energia. Un po' in tutto il mondo le immagini della centrale di Fukushima Daini, mezza diroccata e pronta a fare piazza pulita di tutto ciò le si trova attorno, ha avviato un profondo ripensamento, in primis nell'opinione pubblica e di riflesso anche in alcuni governi. Il caso più eclatante e importante è quello della Germania. Il governo tedesco ha inserito una decisa retromarcia sulla propria politica di sviluppo nucleare, accellerando la chiusura di gran parte degli impianti comunque già prevista per il 2025. Questo però non ha evitato alla cancelliera Merkel e al suo partito, la Cdu (cristiano democratici), una sonora e storica sconfitta alle elezioni regionali tenutesi in due lander: Baden-Württember, dove la Cdu governava ininterrottamente da ben 58 anni, e Renania-Palatinato, che ha visto l'esclusione dal parlamento regionale della Fdp, alleato della Cdu al gorverno federale. Minore, ma non meno significativo è stato ilcalo in entrambi i lander anche della Spd. Gli unici vincitori della tornata elettorale sono stati i verdi che hanno toccato percentuali di consenso impensabili fino a poco tempo fa, e che grazie all'alleanza con l'Spd formeranno il nuovo governo in entrambe le regioni. Tutto ciò è accaduto perchè molti tedeschi hanno visto nel partito dei verdi una seria alternativa alle politiche ambientali ed energetiche portate avanti dai partiti di governo. E questo è potuto accadere perchè nel loro paese possono fruire di un'informazione seria e attenta, da parte dei media e di alcuni partiti, su tutti i problemi che riguardano l'ambiente, in particolare per ciò che concerne il nucleare. Hanno avuto i mezzi per poter scegliere e decidere.

In Italia, invece, un partito ambientalista serio e capace di catalizzare attenzione e consensi non c'è mai stato, ed ora è completamente scomparso dalla mappa politica. Tutto ciò, al contrario della Germania, ha creato grossi problemi nel dibattito pubblico e politico riguardante i temi dell'ambiente, dove quasi mai si va sul merito delle questioni e l'informazione è spesso carente e superficiale. Naturalmente i primi a soffrire di questa situazione sono i cittadini elettori che, specie per quanto riguarda il dilemma atomico, sono costantemente tirati per la giacchetta da una parte e dall'altra, senza poter maturare a fondo una propria convinzione. Qualcuno potrebbe rispondere che a fare le veci dei media tradizionali e dei partiti potrebbe esserci la rete, ma in un paese dove l'80% della popolazione si abbevera di informazioni dalla tv questo è difficile, e per di più la rete è dispersiva e bisogna averne dimestichezza. In paesi come la Germania, ma un po' in tutto il nord Europa, il dibattito ecologico è arrivato a vette che da noi sono ancora impensabili. Come è assurdo il fatto che i tedeschi producano a oggi dal sole più energia di un paese come l'Italia, che del sole ha da sempre fatto il suo primo cittadino. Dunque sarebbe davvero il caso che, se non il partito dei verdi, quantomeno gli altri partiti sviluppino e diffondano una loro politica ambientale, di qualsiasi tipo, ma che lo facciano. Nel 2011, con quello che rischia il mondo non è più possibile fregarsene e pensare solo ai voti. La politica dovrebbe essere anche coraggio e innovazione. Ma vai a farglielo capire.

Parmalat, l'ennesima avvisaglia di un capitalismo vecchio e stanco


Una delle notizie che più mi ha incuriosito in questi giorni, riguarda il tentativo di scalata della Lactalis, azienda francese terza produttrice al mondo di latte e derivati, nei confronti dell'italiana Parmalat. Sembrano passati millenni dalla fine del 2003, quando all'orizzonte si stava profilando il più grande crac/scandalo finanziario mai avvenuto nel nostro paese e l'azienda di Collecchio, ex "gioiellino", mandava in rovina migliaia di piccoli risparmiatori che su di essa avevano investito gran parte dei loro risparmi. Da allora la Parmalat è stata commissariata e affidata ad uno dei più bravi risanatori del nostro paese, Enrico Bondi, scomparendo, o quasi, dalla cronaca quotidiana fino ad oggi. Nel frattempo Bondi ha fatto un ottimo lavoro risanado l'azienda e portandola al 13° posto al mondo come produttrice di latte. Per di più il commissario ha vinto e sta vincendo numerose cause con le banche che avevano finanziato il "mostro" dei Tanzi, riuscendo ad accumulare una cospicua liquidità, circa un miliardo e mezzo di euro. Insomma, un'azienda sana e competitiva con accessi a numerosi e importanti mercati esteri.
Tornando ad oggi, ed è il motivo per cui la notizia mi ha incuriosito, non riesco a capire perchè il capitalismo italiano non ha provato prima dei francesi ad avvicinarsi all'azienda di Collecchio. Ho letto che solo qualche anno fa la Ferrero, produttrice della Nutella, aveva fatto un sondaggio e avrebbe potuto acquisire la Parmalat per soli 800 milioni di euro, mentre oggi l'offerta della Lactalis è di circa un miliardo e mezzo. Quello che mi colpisce è la rincorsa, già vista in altri casi e per altre aziende, asset strategici per il nostro paese, che i nostri capitalisti avviano quando sentono il fiato straniero sul collo della nostra economia. Per lo meno c'è da registrare un deficit di intraprendenza dei nostri imprenditori e un modello di crescita, ormai instaurato, che non vede nelle acquisizioni, e dunque nella scommessa che è alla basse del fare impresa, il viatico per diventare grandi. Il modello di espansione prediletto dal nostro capitalismo è quello interno, cioè la crescita per gradi della propria zienda fatta di migliorie e qualità dei prodotti, senza però inglobare aziende concorrenti e che potrebbero diventare una risorsa. Un modello sacrosanto e vincente ma, purtroppo, poco competitivo a livello globale, dove i grandi colossi cercano di continuo di acquisire nuove teste di ponte per entrare in nuovi mercati, se non differenziando la propria produzione per lo meno cercando di comprare aziende del proprio ramo.
Tutto ciò denota la poca audacia del nostro capitalismo e la forsennata rincorsa ai ripari quando le cose si mettono male. Anche se non è detto che poi l'acquisto di Parmalat da parte dei francesi porterà danni alla nostra economia, di sicuro porterà ad una minore capacità di fare sistema, in questo caso nel campo agroalimentare. La tattica preservativa del nostro capitale è tipica italiana che, salvo alcune grandi compagnie, non è davvero mai entrato nell'economia globale, puntando poco e male le proprie fiches.
E' anche vero che in un paese come il nostro, dove la politica è vecchia e deficitaria nel campo economico, scommettere i propri soldi per vederseli poi succhiare in tasse non è proprio il massimo dell'aspirazione. Questo rende ancora più urgente un rinnovamento che non so quando e soprattutto da dove debba arrivare. Può sembrare retorico, ma molti di quelli al comando, sia nell'economia che nella politica, sono iniziati a marcire e se i nuovi non si danno una mossa, a costo anche di dover defenestrare le cariatidi, il paese e noi tutti marciremo con loro.

martedì 29 marzo 2011

Libia, la splendida guerra della coalizione "accidentale" (video)

In questi giorni sono state scritte miliardi di parole sulla guerra in Libia, ma di notizie vere ne giungono poche. Come inesistenti o quasi sono le immagini dei danni provocati dalla coalizione "accidentale" (l'accidentalità sta nel modo in cui si è formata e conducono la guerra). Sui media tradizionali le uniche testimonianze che a pochi chilometri dalle coste sicule c'è una vera guerra, con morti e affini, sono date dagli sporadici filmati rilasciati dalla US Navy che mostrano i "bellissimi" Tomahawak che si staccano dalle navi americane e si librano felici nel cielo. Così li ha definiti una giornalista di rainews 24 allo scoppio del conflitto: «rivediamo le immagini dei missili Tomahawak, sono molto belle» ha detto, per poi concludere, rivolgendosi all'inviato in Libia con un «buona notte», e tra le risate: «certo si annuncia una notte movimentata da quelle parti». Purtroppo la guerra nelle nostre case entra, o meglio, passa così, con immagini spettacolari e foto stupende di reporter abbivaccati negli hotel dove aspettano di scrivere o registrare il loro pezzo da Pulitzer, rigorosamente lontani dalle bombe. Quelle sono riservate ai libici che, finora, sono sempre i fedeli di Gheddafi. Come si farà poi a riconoscere un libico che muore sotto un missile, se fedele o meno al rais, questo è tutto da vedere. In ogni caso, l'ennesima guerra dei volenterosi a pochi passi dall'Italia ci pare lontana, lontanissima. Come immensamente distanti da noi ci appaiono le notizie dell'utilizzo di uranio impoverito di cui sono farciti i Tomahawak. Purtroppo sappiamo già di cosa è capace questo scarto dell'opulenza occidentale (ricordate le guerre in Iraq ed ex Jugoslavia, in cui anche nostri soldati si ammalarono?), ma questa è una guerra umanitaria, come d'altronde lo sono state le precedenti, per aiutare i ribelli (chi saranno poi, qualcuno lo sa?) e dunque tutto è lecito. Anche compromettere il futuro di quella terra per molti anni a venire. L'importante è cacciare Gheddafi. Si, perchè se leggiamo i giornali sembra proprio che i nostri caccia, le nostre navi e i commandos che già operano sul terrano, siano li solo per il rais. Il concetto è: sparando migliaia di missili, può anche succedere di ammazzare gente innocente, ma poi noi li faremo passare per fedelissimi del regime e tra i tanti forse beccheremo anche Gheddafi. O forse no, comunque ci avremo provato. Splendide immagini, grandi servizi giornalistici e la coscienza pulita: è la guerra umanitaria bellezza.

lunedì 28 marzo 2011

The Kill team: i video raccapriccianti dei militari Usa che a tempo di rock uccidono civili afgani



Dopo Abu grahib pensavamo di aver visto tutto, o quasi. Ci eravamo convinti che quello scempio non si potesse ripetere, che anche in guerra avrebbe prevalso l'umanità sulla ferocia e, ancora più inquietante, sulla noia. Si, perchè le immagini diffuse da Rolling stone su alcuni militari Usa che si divertono a fare il tiro al bersaglio su civili inermi che si riposano all'ombra di un albero, sono frutto della noia, e del nuovo modo di fare le guerre, come se si stesse giocando a un videogame. Guardando il video ho provato una profonda angoscia, con il sottofondo delle risa dei soldati e il poveraccio che scappa non sapendo da dove arrivano i colpi. Tra me e me pensavo, vedendo l'uomo scomparire dietro una duna: ce l'ha fatta! Ma lo scopo della pubblicazione del video non è la sua salvezza.
Ci sono poi altri video e foto che testimoniano scempi sui corpi dei defunti guerriglieri afgani o civili, distinguerli è impossibile. Insomma, penso che anche nelle guerre precedenti, durante le due guerre mondiali e poi dopo nella guerra del Vietnam e così via discorrendo, le atrocità non si sono fatte desiderare, ma ciò che le rende più abnormi e gratuite oggi è il fatto che questi soldati non sono sul campo, non arrivano ad odiare un uomo, un soldato che vuole ammazzarli prima di venire ammazzato. Sono dietro uno schermo a chissà quanti chilometri di distanza e in loro vece l'assassino è un drone teleguidato. E naturalmente poi ci sono i feticci dell'orrore: filmati e fotografie, tutti vogliono portare a casa un souvenir della propria bestialità. Ed è forse questa la cosa che mi fà più schifo.
Nel 2011 un soldato dell'esercito più grande e potente del mondo può anche ammazzare per noia.

Ecco i link dei video:

Death Zone

Motorcyle Kill

The Kill Team photos

L'intera storia, intitolata Kill team, è stata pubblicata sul sito americano della rivista Rolling Stone. Ecco il link.

Questo invece è un video che riassume il tutto, trasmesso da una tv americana