venerdì 29 marzo 2013

Somari d'Italia unitevi. Nel nostro paese l'80 per cento della popolazione è analfabeta o semi-analfabeta

Sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica oggi c'era un articolo sull'analfabetismo, diffuso, nel nostro paese. Incuriosito dalla notizia ho fatto qualche ricerca su internet e sono rimasto allibito da quello che ho trovato.
Una premessa: come molti di voi, penso, anche io ero convinto che ormai in Italia l'analfabetismo fosse un problema appartenente al passato,ormai debellato e alieno alla nostra contemporaneità. In effetti la questione oggi è differente rispetto all'inizio del secolo scorso, quando lo stato ha iniziato seriamente l'opera di alfabetizzazione della società italiana. Il problema odierno è rappresentato dall'analfabetismo di ritorno. Dalla perdita di capacità di comprensione di un testo, nonostante la scolarizzazione, dovuta al fatto che dopo aver concluso il proprio percorso scolastico in molti nel nostro paese hanno totalmente, o quasi, abbandonato la pratica della lettura, anche nelle sue forme più semplici.

I dati riportati da La Repubblica sono frutto di uno studio condotto dalla ALL (Adult Literacy and Life skills), un progetto internazionale di ricerca sui nuovi analfabetismi, che ha analizzato un campione di persone compreso tra i 16 e i 65 anni in sette paesi: Bermuda, Italia, Norvegia, Stati Uniti, Messico, Svizzera e Canada. I dati venuti fuori dallo studio sono sconcertanti, a dir poco. 
In pratica solo il 20 per cento di italiani è in grado di leggere e capire un testo di media lunghezza. Il 5 per cento è completamente analfabeta (non è in grado di comprendere l'etichetta di un medicinale) e circa la metà della popolazione possiede solo le capacità minime di lettura e comprensione (durante lo studio a queste persone è stato dato da leggere un breve testo su di una pianta ornamentale, con due informazioni differenti. Questi soggetti non sono riusciti a distinguere le due parti). Il restante 33 per cento di nostri concittadini ha "un possesso della lingua molto limitato" (non hanno compreso un testo che spiegava come montare il sellino di una bicicletta). Siamo, in sostanza, un popolo di semi-analfabeti. E la cosa più difficile da accettare è che, secondo queste ricerche, per la maggior parte delle persone che si trovano in queste condizioni, il non comprendere ciò che si legge non è un problema. Questa incoscienza, rispetto al passato, quando l'essere illetterati comportava vergogna, è dovuta anche ai nuovi mezzi tecnologici che utilizziamo quotidianamente. Naturalmente smartphone, tablet, pc etc non sono direttamente responsabili di questa ecatombe culturale. La tecnologia ha l'unica "colpa" di agevolare la vita di coloro non sono capaci di leggere e capire. Sopperisce, dunque, a mancanze che in passato relegavano le persone a ghetti culturali ed economici, mentre oggi i confini sono molto più sfumati, quasi nulli E mentre in passato l'analfabetismo era diffuso specialmente tra le fasce più povere del mezzogiorno, oggi questa condizione interessa in maniera uniforme tutta la società italiana, da nord a sud, ricchi, meno ricchi e poveri. Nessuno escluso, è un problema generalizzato che non afferisce alla condizione economica di chi ne è vittima. D'altronde basta dare un'occhiata ai dati sui consumi culturali del nostro paese, che in quanto ad acquisto di libri e quotidiani pro-capite in Europa è da anni tra i fanalini di coda.

La realtà presentata da questo studio, per quanto catastrofica, è anche ottimista rispetto ai dati forniti dall'Unla (Unione Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo) in un suo rapporto del 2005. Secondo l'associazione italiana tra il 20 e il 25 per cento degli studenti che escono dalla scuola media inferiore non sa leggere e scrivere. Il 12 per cento di italiani - circa 6 milioni - è completamente analfabeta e non è in possesso di nessun titolo di studio. Più in generale, sempre secondo il rapporto Unla, circa 36 milioni di nostri concittadini sono analfabeti, semi-analfabeti o analfabeti di ritorno non in grado di affrontare, adeguatamente preparati, le sfide che il mondo contemporaneo pone alle varie società nazionali. Una vera e propria palla al piede culturale per il nostro paese, che fa sentire tutto il suo peso anche e soprattutto nelle cose che riguardano la vita pubblica. L'ultimo sentomo rilevabile è la situazione politica che stiamo vivendo in questi giorni, ma che affonda le proprie radici nel ventennio berlusconiano. Un periodo in cui, diciamoci la verità, il nostro paese non ha brillato su molti fronti. Quest'emergenza sociale è più grave dal centro-Italia fino al sud e alle isole. Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Campania, Sardegna, Umbria sono regioni con una popolazione analfabeta, senza alcun titolo di studio, che supera l’8%.

Tullio De Mauro, docente all'università La Sapienza di Roma, già ministro dell'istruzione dal 2000 al 2001 e da anni impegnato sul fronte della ri-alfabetizzazione, in un'intervista rilasciata il dicembre scorso al quotidiano Il Messaggero sostiene che «sulla nostra vita associata il livello di incultura della popolazione adulta pesa enormemente». Tradotto vuol dire che l'Italia è ostaggio della maggioranza di persone che non hanno i mezzi culturali minimi per discernere scientemente su cosa è meglio per il paese (in poche parole votano senza conoscere). E naturalmente sono una zavorra per lo sviluppo, non solo umano, ma anche economico dell'intera società italiana. Per Tullio De Mauro «il quadro è drammatico. Effettivamente -continua il docente- i dati che vengono fuori per il nostro Paese possono essere definiti catastrofici. Queste indagini vengono condotte osservando il comportamento dinanzi a sei questionari graduati e vedendo come gli interpellati rispondono, se rispondono, a richieste di esibire capacità di lettura e comprensione, scrittura e calcolo. È interessante notare che in tutti i Paesi ci sono fenomeni di regressione in età adulta rispetto ai livelli formali». Oltre alle ovvie conseguenze, tutto ciò preclude ad un'ampia fetta di popolazione anche l'accesso al lavoro qualificato, di cui un'economia avanzata come la nostra avrebbe enorme bisogno. De Mauro sostiene che la regressione alfanumerica, se dopo gli studi non si leggono libri o giornali, è un fattore «fisiologico che interessa ogni paese. Ma l'Italia è alla patologia - continua l'ex ministro dell'istruzione-. I nostri dati sono impressionanti. Un 5% della popolazione adulta in età di lavoro – quindi non vecchietti e vecchiette, ma persone tra i 14 e i 65 anni – non è in grado di accedere neppure alla lettura dei questionari perché gli manca la capacità di verificare il valore delle lettere che ha sotto il naso. Poi c’è un altro 38% che identifica il valore delle lettere ma non legge. E già siamo oltre il 40%. Si aggiunge ancora un altro 33% che invece legge il questionario al primo livello; e al secondo livello, dove le frasi si complicano un pò, si perde e si smarrisce: è la fascia definita pudicamente ”a rischio di analfabetismo”. Si tratta di persone che non riescono a prendere un giornale o a leggere un avviso al pubblico – anche se è scritto bene, cosa tutta da vedere e verificare. E così siamo ai tre quarti della popolazione».In conclusione per De Mauro tutto ciò avviene perchè «per quanto le scuole possano lavorare, i livelli di competenze delle famiglie e più in generale della società adulta si riflettono massicciamente sull’andamento scolastico dei figli. Quindi riuscire a comprendere quanto sia rilevante il problema della scarsa competenza alfanumerica degli adulti significa anche capire quanto la nostra scuola lavora, per così dire, in salita. L’insegnante che cerca di occuparsi del ragazzino o della ragazzina che viene da una famiglia in cui mai sono entrati un libro o un giornale fa una fatica spaventosa; così la scuola deve svolgere un compito immane. Negli altri Paesi esistono degli eccellenti sistemi di educazione permanente. Da noi siamo a zero».

Questa realtà sconvolgente ci fornisce anche una spiegazione del perchè, come sistema paese, siamo così in crisi. E' inutile nascondercelo, l'Italia è un paese in regressione culturale, più che in recessione economica. Siamo stati per secoli il faro morale e culturale del mondo occidentale, ma oggi il nostro peso su ciò che avverà in futuro, sia in termini economici che politici che di influenza sugli stili di vita, è praticamente inesistente. E questa realtà è frutto dell'inadeguatezza con cui è stata amministrata la cultura e l'istruzione nel nostro paese negli ultimi decenni. Non abbiamo un sistema scolastico efficiente. Le persone terminano gli studi e non si interessano più alla comprensione profonda dell'esistente. La maggior parte degli individui si limita alla superficie che gli viene proposta per lo più dalla Tv. Non abbiamo intellettuali di spicco, anche perchè proprio la figura del pensatore è spesso dileggiata e snobbata dall'informazione mainstream. Nel corso della seconda metà del '900 abbiamo avuto personalità del calibro di Pasolini, Calvino, Montale, De Andrè, Sciascia, solo per citare alcuni letterati. Oggi la destra rifugge dalla figura dell'intellettuale, quasi fosse un'offesa indicare qualcuno come pensatore, e a sinistra la personalità di riferimento è Roberto Saviano. Senza nulla togliere a Saviano, ma è possibile che uno che ha scritto un solo libro, per di più di inchiesta giornalistica, debba assurgere al rango di intellettuale di riferimento per un'intera area politico-culturale? Purtroppo siamo messi così e, pare, ci piace tanto sguazzare in questa palude di ignoranza dominante. Avremmo bisogno, come a inizio secolo scorso, di un nuovo programma di ri-alfabetizzazione della popolazione. O semplicemente una riforma reale e  ben fatta del nostro sistema scolastico.


Omicidio Aldrovandi: il vergognoso sit-in dei poliziotti del Coisp sotto l'ufficio della mamma del ragazzo ucciso; un altro chiodo sulla bara dell'Italia


Le immagini dei poliziotti del Coisp (sindacato di polizia di area cento-destra) che manifestano a Ferrara per i loro "complici" in galera è un qualcosa di nauseabondo. Ancora di più se si pensa al luogo scelto per il sit-in, la piazza antistante l'ufficio dove lavora la mamma di Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti. Una madre che ha lottato fino allo stremo per avere giustizia da uno stato che in più di un'occasione, quando si è trattato di dover punire i propri "servi" macchiatisi di azioni infami, si è tirato indietro e ha coperto le loro (e sue) vergogne. Vedere una madre costretta, dopo aver perso il proprio figlio massacrato da coloro avrebbero dovuto proteggerlo, a scendere in strada con in mano una gigantografia del caro con il cranio spaccato, in una pozza di sangue lascia senza parole. Siamo un popolo in affanno, senza più forze, e questi fatti lo dimostrano, perchè fanno capire al mondo intero a che grado di bassezza è arrivata la nostra cultura e il nostro senso di solidarietà civile. Si può anche essere discordanti nei confronti della sentenza dei giudici, che hanno condannato gli agenti di polizia responsabili dell'omicidio Aldrovandi a tre anni e sei mesi di reclusione (in realtà è tanto se ne faranno 6 mesi), ma era necessario (e possibile) andare a protestare dalla madre del ragazzo ucciso? Oltretutto, da quello che si è capito dalle dichiarazioni di Patrizia Moretti, questo non è il primo caso di intimidazioni  (vero è proprio stalking) ricevute nel corso di questi anni di processo. Anche se tra le fila delle forze dell'ordine vige lo "spirito di corpo", che porta gli agenti a proteggersi l'uno con l'altro, fino a dove si può arrivare per autoconservarsi ed evitare di rispondere dei propri crimini? Sono sicuri, i signori poliziotti che ieri con i cartelli in mano si sono prestati a quella volgare pantomima, che sia questa la strada giusta, anche per il loro interesse? A me pare che oltre la corruzione, la malapolitica e tutto il resto, sia proprio questa regressione culturale, che mette al primo posto il più becero corporativismo rispetto all'interesse comune, a distruggere giorno dopo giorno la coesione, di cui oggi tanto avremmo bisogno, del (fu) popolo italiano.

mercoledì 27 marzo 2013

Todo Modo (1976). Regia di Elio Petri con Gian Maria Volontè

Todo Modo è l'ultimo film del binomio Petri Volontè. Un sodalizio che negli anni '70 fece conoscere a tutto il mondo il cinema politico italiano, che nelle vicende, oscure e non, del nostro paese trovava una inesauribile fonte d'ispirazione. Una prolifica relazione, quella tra il regista e l'attore, non solo professionale, ma anche e soprattutto politica e ideologica, da cui sono nati film come A ciascuno il suo (1967), Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe operaia va in paradiso (1972) e, appunto, Todo Modo (1976). Il protagonista della vicenda, Il Presidente interpretato da Volontè, è liberamente ispirato alla figura di Aldo Moro. Il film uscì nelle sale due anni prima del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana da parte delle Brigate Rosse. E questo ne determinò la scarsa diffusione, dato il clima politico e sociale che imperversava nel paese. In pratica si preferì relegarlo nel dimenticatoio, per non turbare la sensibilità del pubblico (votante). Buona visione.


Israele, il nuovo governo e la questione del fondamentalismo ebraico

Delle vicende che riguardano il medioriente sappiamo molto. Siamo a conoscenza dei vari aspetti che nel corso degli ultimi 60-70 anni hanno funestato quella parte di mondo così cara a tante culture e religioni. Nel corso del '900 il motivo di maggior preoccupazione e polarizzazione delle posizioni è stato il conflitto arabo-israeliano, nella sua declinazione israelo-palestinese, con tutte le sue sfaccettature, massacri, mobilitazioni internazionali e impegno delle varie diplomazie affinchè si arrivasse ad una sintesi e una pace duratura.
Questo post non è dedicato direttamente alla questione mediorentale in quanto scontro tra due popoli, interessi e religioni, ma vuole analizzare più da vicino un problema per lo più taciuto dalla maggior parte della stampa mainstream, che nei prossimi anni potrebbe diventare un ennesimo motivo di tensione regionale e mondiale: la questione è tutta interna alla composizione demografica della società ebraica, con il crescente attrito tra israeliani laici di sinistra e tradizionalisti religiosi ultraortodossi. 

Dopo settimane di stallo e negoziazioni lunedì scorso si è arrivati al giuramento del 33° governo israeliano, il terzo di cui Benjamin Netanyahu sarà premier. Un esecutivo di cento-destra da cui, però, a sorpresa per la prima volta da dieci anni a questa parte sono stati completamente esclusi gli ultraortodossi.
Dalle urne, lo scorso gennaio, era venuta fuori una Knesset (parlamento unicamerale israeliano, che conta 120 seggi) sostanzialmente spaccata e a rischio paralisi. Alla fine si è arrivati ad un compromesso tra il ticket Likud-Yisrael Beitenu (31 seggi), guidato dal neo-premier e Avigdor Lieberman, e la vera novità di questo parlamento, la formazione centrista Yesh Atid (19) capeggiata dall'ex commentatore televisivo Yair Lapid. Gli altri due partiti che hanno consentito a Netanyahu di raggiungere la risicata quota di maggioranza di 68 seggi sono il Focolare Ebraico (HaBayit HaYehudi) di Naftali Bennett e il Movimento (Hatnua) dell'ex ministro degli esteri Tzipi Livni, che possono contare rispettivamente su 12 e 6 deputati.

Per permettere all'esecutivo di nascere, Netanyahu ha dovuto rinunciare alla solida alleanza con i due partiti ultraortodossi più importanti, Shas e United Torah Judaism, avversati dai suoi neo-alleati di Focolare Ebraico e da Yesh Atid di Yair Lapid. Nel  loro programma queste due formazioni hanno presentato riforme che limitano significativamente i privilegi di cui la parte tradizionalista della popolazione ha goduto fino ad oggi. Uno fra tutti l'esenzione per i giovani haredim (studiosi della Torah) dal servizio di leva obbligatoria, che i due partiti vorrebbero invece eliminare. La situazione però è alquanto complicata, perchè nonostante l'assenza degli ultraortodossi le istanze dei coloni sono ben rappresentate da Focolare Ebraico, che si definisce "ortodosso moderato", e al cui leader, Naftail Bennet, è andato il dicastero dell'economia. Bennet in campagna elettorale in più di un'occasione ha palesato il suo interesse a che vengano permessi maggiori insediamenti ebraici nelle terre occupate dai palestinesi. Il nome stesso del suo partito, Focolare Ebraico, è fortemente esplicativo della posizione politica che occupa, in quanto si rifà alla famosa dichiarazione Balfour del 1917 che prefigurava la nascita, per gli ebrei, di un "focolare nazionale", ed è considerato il primo passo per la costituzione dello stato di Israele. Anche Bennet porta in politica il dettato biblico, riguardo alla questione territoriale, ma rispetto agli ultraortodossi è considerato un laico.


In realtà il problema della convivenza fra le due anime che compongono il popolo di dio, e che oggi sono divise da un abisso culturale a tal punto da rappresentare due popoli all'interno della stessa nazione, affonda le proprie radici fin dalla costituzione dello stato israeliano; allora però la componente ortodossa era largamente minoritaria e gli eredi dei kibbutz, laici socialisti fondatori politici dello stato, al potere ininterrottamente fino al 1977 , fecero di tutto per non indispettire e frustrare la parte più tradizionalista della società ma, al contempo, si prodigarono per separare nettamente la sfera pubblica da quella religiosa. Agli haredim venne lasciato ampio margine di scelta e organizzazione delle proprie comunità, a volte chiudendo un occhio e altre addirittura avallando delle richieste palesemente illiberali e inique rispetto al resto della società israeliana.
Questo labile equilibrio, minacciato costantemente dalle crescenti rivendicazioni e proteste degli iper-religiosi, ha tenuto fino all'assassinio del primo ministro socialista Ytzhak Rabin nel 1995, per mano di un colono ebreo estremista che, insieme ad una larga fetta di popolazione, non approvava e non approva le aperture verso gli arabi. Da allora molti sono stati i momenti di intolleranza reciproca tra laici e religiosi culminati nell'episodio dello scorso dicembre quando una bambina di 7 anni di Beit Shemesh è stata presa a sputi, pietre e insulti da alcuni ultraortodossi per non aver rispettato il marciapiede riservato alle donne (nella strada principale della cittadina un lato è riservato agli uomini e l'altro alle donne) e perchè abbigliata in modo "immodesto", con una maglietta a maniche corte ed una gonna colorata che non copriva completamente le ginocchia.
Di colpo la tanto decantata "unica democrazia" liberale del medioriente, con il mondo intero allibito per l'accaduto, si è ritrovata a fare i conti con quello che oggi è uno dei fronti più caldi del confronto-scontro tra le due tendenze che compongono Israele, il "posto" della donna. Secondo i religiosi sarebbe di gran lunga meglio tornare alla tradizione, quando l'uomo serviva la patria e la donna l'uomo.
Gran parte della società israeliana progressista e occidentale ha condannato fortemente l'accaduto e la stampa internazionale ha portato alla ribalta mondiale un fenomeno fino ad allora in larga misura sottaciuto. Tre settimane prima del fatto il segretario di stato USA Hillary Clinton, commentando le direttive sempre più misogene dei rabbini estremisti, aveva esclamato: "sembra di stare a Teheran". Gioco forza, però, non si era dato troppo risalto al commento, ma la brace aveva continuato ad ardere sotto la cenere e il fuoco è divampato prima della fine dell'anno.
Una presa di posizione decisa, anche solo formale, da parte degli Stati Uniti, il più grande alleato del paese sionista, sarebbe stata piuttosto controproducente a livello mediatico. Non bisogna dimenticare che uno dei tanti motivi addotti per scatenare la guerra in Afghanistan è stato proprio quello relativo alla condizione della donna nel paese del "grande gioco".

Lo stato ebraico sta diventando sempre più religioso. A dimostrarlo non è solo l'eplosione del numero di sinagoghe costruite negli ultimi anni, ma soprattutto i dati: nel suo ultimo rapporto l'Ufficio Centrale di Statistica ha palesato una situazione e prefigurato una tendenza che dovrebbe portare la componente tradizionalista della società, all'incirca entro il 2030, ad essere maggioritaria nel paese e, ovviamente, nella Knesset (il parlamento). A oggi secondo le stime, l'8 per cento della popolazione israeliana è ultraortodossa, il 15 ortodossa, il 13 ortodossa tradizionale, il 25 tradizionale e il 42 per cento laico. La parte di popolazione molto religiosa è salita al 23 per cento e secondo questo andamento fra trent'anni gli ultraortodossi saranno un
terzo della popolazione. A sfavorire particolarmente la parte più occidentalizzata è il numero delle nascite: come è avvenuto in ogni società moderna, la fetta più progredita della popolazione ha visto diminuire costantemente il numero dei propri figli e in Israele oggi la famiglia laica tipo è composta mediamente da due genitori e un solo figlio. I tradizionalisti, in particolare gli ultra-ortodossi, in media sfornano otto figli per nucleo famigliare.
Quella che si va delineando, in un futuro nemmeno troppo lontano, è la presa del potere da parte dei fondamentalisti religiosi, in un paese, non scordiamocelo, in possesso della bomba atomica.
Se gli iraniani hanno letto queste stime probabilmente non hanno tutti i torti a dotarsi anche loro di ordigni nucleari, più che altro per scongiurare un attacco atomico israeliano che non avrebbe adeguate contromisure.
Lo so, è una provocazione. Ma se ci ragioniamo bene, perchè dovremmo, a ragione, aver timore dei fondamentalisti islamici e non di quelli ebraici? La risposta è semplice: per il momento agli Stati Uniti e all'occidente fa comodo così. Come compresero sia i russi che gli americani, in piena guerra fredda e dopo i casi in cui più si andò vicini ad un conflitto atomico-apocalittico, la bomba atomica è un'arma totalmente irrazionale se in mano a entrambe le fazioni in guerra. L'escalation non vedrebbe primeggiare nessun vincitore e, parafrasando Tacito, creerebbe un deserto chiamato pace.

Tornando al nostro discorso, anche se fin dalla nascita di Israele i socialisti furono fermamente decisi ad integrare le donne nei gangli dello stato, addirittura a farle parte integrante di "Tsahal" (l'esercito), i timorati di dio sono riusciti ad imporre alcune regole da apartheid di genere: come la separazione tra donne e uomini nei trasporti pubblici e, in alcune medie città e quartieri di Gerusalemme ad alta concentrazione di ortodossi, una segnaletica stradale che indica il senso di marcia riservato al genere femminile. Tutto ciò è potuto accadere perchè Ben Gurion decise di non dotare il nascituro stato di una costituzione scritta, per non imporre delle leggi difficilmente mutabili e dunque salvaguardare l'armonia lasciando di volta in volta le decisioni in mano al fluttuare della contrapposizione politica. Oggi però pare che il banco sia saltato.

Anche se il 6 gennaio 2011 una sentenza dell'Alta Corte israeliana ha stabilito che la segregazione è illegale, e imposto alle società di gestione del trasporto pubblico di mischiare i passeggeri, gli haredim non ci stanno e ancora oggi nei fatti questa disposizione non è prassi. Un altro fronte caldo, già accennato, è quello che riguarda la coscrizione obbligatoria. Lo scorso febbraio l'Alta Corte di giustizia di Gerusalemme ha sentenziato che la "Tal Law", che permetteva ai giovani studiosi della Torah l'esenzione dalla leva obbligatoria, ad agosto, quando andrà a scadenza, non sarà rinnovata. Naturalmente questa decisione ha scatenato le ire degli haredim, con proteste di piazza a volte anche piuttosto violente. La legge fu ratificata nel 2002 dall'allora premier Ariel Sharon per offrire una via d'uscita agli ebrei ultraortodossi che non vogliono adempiere agli obblighi di leva, che in Israele dura due anni sia per le donne che per gli uomini. La norma stabilisce che chi frequenta una scuola rabbinica può rinviare fino a 22 anni l'ingresso obbligatorio nell'esercito. Il problema, però, è che a quell'età la maggior parte degli haredim ha già un numero di figli tale da permettergli di essere esentato per altri motivi. Questo privilegio, com'è facile capire, non è mai andato giù alla parte laica e moderata della popolazione, che negli anni ha presentato vari ricorsi fino a giungere alla sentenza sopra citata. La questione dei privilegi e delle agevolazioni di cui godono gli ultraortodossi, non ha solo risvolti di iniquità sociale, ma anche economici. Questo accade perchè lo stato sussidia tutti coloro spendono l'intera vita allo studio delle sacre scritture, inducendo la parte di popolazione tradizionalista, che in maggioranza si dedica a questa attività, a sviluppare un atteggiamento parassitario. Gli haredim sono la parte più povera della società israeliana: per lo più disoccupati che vivono di questi sussidi statali, il loro mancato apporto produttivo alla crescita economica del paese grava enormemente sui conti pubblici, e ancora di più mette in pericolo il patto sociale fra le diverse fasce che compongono la collettività israeliana.

In conclusione quello che più  mi preoccupa, naturalmente, non è tanto la stabilità interna di Israele, in quanto paese a se stante, ma in quanto attore fondamentale nel processo di stabilizzazione dell'intero teatro mediorientale. Il fatto che gli israeliani dispongano di armi nucleari, e che nel futuro del paese della stella di David possa concretamente affacciarsi il fondamentalismo religioso, in questo caso ebraico, non è per nulla rassicurante. Così come non c'è da stare tranquilli per il possibile disimpegno americano nella regione, ora che gli USA, grazie allo Shale Gas, potrebbero guadagnare l'autonomia energetica e dunque abbandonare al suo destino il medioriente. Sarebbe forse opportuna una politica di disarmo concertata fra i diversi attori, ma viste le posizioni, per lo più irriducibili, sembra difficile che questo possa avvenire in maniera pacifica. Come ultima analisi sarebbe ora di smetterla di considerare Israele il campione mediorientale della libertà, e i paesi arabi solo come regimi dittatoriali. Come si può vedere non tutto è come sembra e anche Israele ha le sue zone grigie, che con il passare degli anni potrebbero diventare completamente nere.

martedì 26 marzo 2013

La Taranta (1962). Documentario di Gianfranco Mingozzi, realizzato con la consulenza di Ernesto De Martino





Biografia e Filmografia di Gianfranco Mingozzi

L'inquietante erotismo passionale italiano rappresentato da quella ragazzaccia giunonica di Serena Grandi. Chissà perché, di Gianfranco Mingozzi, il pubblico ricorda solo quello. Mentre le maestranze, i distributori e gli storici del cinema preferiscono al ritratto di un regista di film erotici, quello di un grande maestro del documentario italiano che ha fatto scuola anche all'estero. Erano gli inizi degli Anni Sessanta e Mingozzi, dopo essere stato assistente regista di Federico Fellini, aveva voglia di dirigere anche lui qualcosa. Dopo alcuni anni di silenzio, ecco i suoi documentari etnografici. Opere che lo imposero, assieme a un altro regista (Luigi Di Gianni), come un esperto nella difficile arte visiva del documentarismo italiano. Alla base di tutto, la grande passione per la cultura del Mediterraneo come crocevia di culture e luogo di contaminazione, che poi lo portò a puntare le luci sulla settima arte, sui suoi protagonisti e sulle loro storie, aggiungendovi solo allora gli insoliti, lambiccati e pienamente riusciti film intriganti e sessuali. Ispirato da grandi penne come quelle di Tonino Guerra, Roberto Roversi e Apollinaire, diventa un alacre autore coraggioso e molto realistico, che predilige i racconti provinciali a quelli delle grandi città, racconti che vengono portati sul grande schermo con "modi finissimi di rappresentazione, tempi abilmente trattenuti, risvolti narrativi seguiti con garbo, caratteri disegnati con accenti sottili", un cinema di metafora e di poesia, ripieno di coerenza stilistica. Purtroppo fu questo suo perdere la testa per la straordinarietà della vita, questo suo abbandonare la rigidità cinematografica di allora nella rappresentazione di mondi lontani e unviersi personali - che in altre condizioni e in altre nazioni, avrebbero potuto farlo diventare un Maestro del cinema - a non farlo amare dalla critica e dal pubblico del nostro paese. Non andrebbe mai dimenticato Gianfranco Mingozzi che, è giusto che si scriva a chiare lettere, è l'occhio che ha diretto alcuni capolavori del genere documentaristico italiano e ha anticipato la tendenza minimalista già dagli Anni Settanta, lavorando con la drammaturgia del quotidiano e sulla sua immagine. Sulla sua filmografia, spiccano titoli e film che sembrano lontani dalle corde di Mingozzi, ma il risultato complesso, pieno di sfumature e anche commovente del suo lavoro, da vedere e rivedere, ha reso ricco il cinema italiano e lo ha reso esistente.



I Documentari

 Nel 1959 comincia a pensare di poter firmare anche qualcosa di suo. Ma invece di porre la sua attenzione per il lungometraggio e per i film a soggetto, sceglie il documentario. Arrivano così i suoi primi lavori Festa a Pamplona (1959) e Gli uomini e i tori (1959), seguiti da Le finestre (1962), Tarantula (1962), Via dei Piopponi (1962), Il putto (1963), I mali mestieri (1963) e altri documentari dai titoli poetici che lo imporranno come uno dei migliori documentaristi italiani: (1964); Il sole che muore; Notte su una minoranza (1964); Con il cuore fermo Sicilia (1965), realizzato con Cesare Zavattini; Michelangelo Antonioni - Storia di un autore (1966), realizzato sul grande maestro che ha lo ha largamente influenzato con la sua poetica; Corpi (1969) e Per un corpo assente (1968). Poi una pausa dal genere per dedicarsi alle pellicole e all'esplorazione dei film a soggetto. Ritornerà solo nel 1982, quando dedicherà alla grande diva del muto Francesca Bertini l'opera L'ultima diva - Francesca Bertini. Il suo percorso continuerà con: Sulla terra del rimorso (1982); Arriva Frank Capra (1986); Bellissimo - Immagini del cinema italiano (1985) composto da una serie di interviste fatte a registi, produttore, attori, costumisti e maestranze varie del cinema italiano; Noi che abbiamo fatto la dolce vita (2009) e Giorgio/Giorgia (Storia di una voce)


Filmografia

Noi che abbiamo fatto la dolce vita Documentario Italia, 2009
Ali Documentario Italia, 1994
Con il cuore fermo, Sicilia Documentario Italia, 1965
Il rigore più lungo del mondo Drammatico Italia, 2003
Al nostro sonno inquieto Drammatico Italia, 1964
Stabat Mater Drammatico Italia, 1996
Gli uomini e i tori Documentario Italia, 1959
Il putto Documentario Italia, 1963
Il sole che muore Documentario Italia, 1964
Li mali mestieri Documentario Italia, 1963
Sulla terra del rimorso Documentario Italia, 1982
Le finestre Documentario Italia, 1963
La vita che ti diedi Commedia Italia, 1991
Tobia al caffè Commedia Italia, 2000
Gli ultimi tre giorni Drammatico Italia, 1978
Trio Drammatico Italia, 1967
Sequestro di persona Drammatico Italia, 1967
Morire a Roma Drammatico Italia, 1972
Le italiane e l'amore Politico Italia, 1962
L'iniziazione Commedia Italia, 1986
Il frullo del passero Commedia Italia, 1988
Flavia, la monaca musulmana Drammatico Italia, 1974
L'appassionata Erotico Italia, 1989

 (fonte: Corriere della Sera)


Biografia di Ernesto De Martino proposta dall'Enciclopedia italiana Treccani 

lunedì 25 marzo 2013

Grillo apre la caccia ai "troll disturbatori del blog 5 Stelle". Misura legittima o caccia alle streghe?



A prescindere da se si riuscirà, o meno, a tirare su l'ennesimo governo de "noantri", in questo mese di diatribe, torpiloqui a mezzo stampa e, sostanzialmente, nulla di fatto, sul Movimento 5 Stelle è possibile fare alcune considerazioni. Il dato più lampante riguarda la vita e il dibattito all'interno del Movimento di Grillo. Oggi leggo su alcuni siti web che il comico genovese ha ufficialmente "aperto la caccia" ai "disturbatori" che opererebbero per dividere dall'interno la base del M5S, attraverso commenti negativi e critici in appendice ai post pubblicati sul suo blog. Definiti dal capo supremo, cioè Grillo stesso, "schizzi di merda digitali", questi presunti prezzolati al soldo dei vecchi partiti starebbero minando le granitiche convinzioni dei grillini, semplicemente esprimendo la loro opinione. In pratica Grillo sta chiedendo ai "grillini sani" che frequentano il suo blog, di diventare delatori di coloro osano esprimere posizioni contrarie a quelle dominanti.
 
E' innegabile che ci possa essere anche della malafede da parte di alcuni "followers" del blog, che magari gettano zizzania ispirati da qualcuno che vuole vedere ruzzolare nella polvere Grillo e tutto il suo popolo, ma come si fanno a riconoscere questi da coloro che invece semplicemente dissentono? Il dato che più mi colpisce, però, è l'atteggiamento paternalistico e di arroccamento che, non solo in questa vicenda, il M5S tiene nei confronti dei propri sostenitori. Sembra quasi che Beppe Grillo abbia il terrore di ritrovarsi "nudo" di fronte ad alcuni dati di fatto, che riguardano non solo le sue scelte politiche, ma anche e soprattutto la sua base programmatica. In un Movimento, ormai partito, dove si professa la massima orizzontalità nel processo decisionale, e dove addirittura si parla di Democrazia Diretta le critiche, anche se in malafede, non dovrebbero spaventare, perchè è proprio attraverso il confronto che in un tale modello si dovrebbe arrivare ad una sintesi. Che fine ha fatto la tanto decantata apertura del web, e la sua capacità di auto-regolamentarsi? Si direbbe che la "casa di vetro" prefigurata da Grillo, riguardo alla trasparenza delle istituzioni, valga solo per i suoi avversari politici. Al contrario il M5S si riunisce anche a porte chiuse e non risponde a domande scomode fatte da giornalisti indesiderati, contrapponendo al vecchio modo di fare giornalismo la panacea della diretta web, che sarà pure un'innovazione ma è anche unidirezionale e non permette ai cittadini di capire fino in fondo cosa pensano i rappresentanti che hanno eletto.
Alcuni hanno paragonato il M5S ad una setta, in particolare quella di Scientology. Io non penso sia così, perchè tra coloro che ne animano il dibattito ci sono sicuramente più spiriti liberi che pecore. Persone che in questo momento storico hanno deciso di appoggiare le tesi di Grillo, ma che fondamentalmente non appartengono a nessuno e di fronte a fatti che vanno contro le loro convinzioni  sono pronte a cambiare idea. Più di una volta, però, Grillo si è posto a difesa della purezza dei valori e dell'operato del suo partito, semplicemente mettendo alla porta quelli che portavano all'attenzione del resto della comunità i propri dubbi. Questo atteggiamento è indiscutibilmente settario. L'impressione che se ne ricava all'esterno porta a pensare che quasi non si voglia perdere la fiducia di nessun simpatizzante; che nessuno, una volta entrato nel Movimento, può uscirne e andare in giro a raccontare quello che avviene all'interno. Appena alla ribaltà mediatica sale qualcuno che ha fatto parte di qualche meetup, contestando ciò che lo ha fatto allontanare dal Movimento, ecco che tutto "l'apparato" grillino, con compatezza e abnegazione degne della più strutturata disciplina di partito, opera per screditarlo e definirlo un venduto.
Non mi pare che questo sia il modo giusto di portare avanti la battaglia, legittima e importante, che il M5S ha dichiarato agli sprechi e al malcostume pubblico. Se si è sicuri delle proprie tesi non si ha paura che qualcuno possa confutarle dall'oggi al domani. A maggior ragione se si è degli strenui assertori della supremazia della rete rispetto ai vecchi media e ai vetusti processi decisionali. Il web però di confronto e libertà vive, e non è una contraddizione da poco quella che Grillo palesa ogni volta che sbraita perchè qualcuno ha osato criticarne l'operato o le parole.
 La mia sensazione, come ho scritto anche in un altro post, è che raggiunto il grande obbiettivo delle scorse elezioni il M5S si stia un po' sgonfiando. E non perchè incapace di mettere in pratica il programma, ma proprio perchè sta dimostrando di non essere quel Movimento aperto e libertario che molti pensavano. L'ennesimo caso, così diffuso nella prassi politica italiana, di incoerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Anche se non credo nella politica, in questo modo si sta sprecando una grossa opportunità. Se a breve si tornerà alle urne difficilmente il M5S farà meglio dello scorso febbraio e, anzi, temo potrebbe perdere molti consensi.

domenica 24 marzo 2013

Imitazione Della Dignità, di Sergio Tau (1964). Cortometraggio documentario

Ancora Roma in questo documentario di Sergio Tau, realizzato nel 1964. Il cortometraggio è stato girato nel quartiere di Pietralata.

Biografia di Sergio Tau

Regista teatrale dal 1959, esordisce nel cinema l'anno successivo come assistente di Carlo Lizzani. Nel 1962, dopo aver conseguito il diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, dirige un episodio di Gli eroi di ieri, oggi, domani e in seguito si dedica al documentarismo, firmando numerosi cortometraggi. Dal 1965 al 1978 lavora per la televisione come regista di telefilm (I briganti, I monti di vetro, Le favole, La barca dei sogni, Il prete, La macchina del potere) e monografie sceneggiate (Bacon, Newton, Joyce, Svevo, Musil, La scapigliatura). Nel 1977, prodotto dall'Istituto Luce, dirige il suo primo e unico lungometraggio.

Filmografia (aggiornata all'anno 2001):

regista

1963: Inferno di guerra 1917 (ep. di Gli eroi di ieri, oggi, domani); 1977: La lunga strada senza polvere (anche sogg., scen. e int.).

regista documentari

1963-66: Il prode Anselmo; La strega; Op op gnam gnam; Samanta n. 1; L'imitazione della dignità; La tavola calda di Dio; I cavalli del cinema; I dintorni del paradiso; Santa Margherita da Cortona; Un fiume di malinconia; Tarzan del Tevere; Poiché è cosa assurda; Il festival dei maghi; Il gioco della civetta; Metastasi; L'Italia con Togliatti (in coll.); Morte all'orecchio di Van Gogh; Gli eroi dei fumetti.

aiuto regista

1961: L'oro di Roma di C. Lizzani.

soggettista

1973: Flavia la monaca musulmana di G. Mingozzi.

Il Mondo Nel Cortile. Piero Nelli (1959) Cortometraggio Documentario



Biografia di Piero Nelli

 Piero Nelli nasce a Pisa il 14 aprile del 1926. Regista cinematografico, autore di televisione e romanziere. Figlio di una famiglia agiata e destinato alla carriera militare, aderisce giovanissimo al Partito comunista italiano e partecipa attivamente alla Resistenza in una formazione garibaldina nella zona di Volterra. Al termine della guerra prende confidenza con il cinema lavorando come aiuto regista in due film di Giuseppe De Santis: Riso amaro (1949) e Non c’è pace tra gli ulivi (1949). Tra il 1952 e 1953 dirige il suo primo lungometraggio La pattuglia sperduta, a cui fanno seguito La sfregiata, episodio del film Le italiane e l’amore (1961), I misteri di Roma (1963) e L’addio a Enrico Berlinguer, entrambi film a regia collettiva. Intenso nei suoi rpimi lavori il rapporto con Cesare Zavattini. Molto più ricca di titoli la carriera come regista di documentari e programmi televisivi per la Rai, tra questi ultimi di particolare interesse sociale e storico Parlare, leggere, scrivere. Storia dell’Italia unita tra lingua e dialetti (1969-1973) e lo sceneggiato Il passatore (1977). Nel 1963 fonda, con Ansano Giannarelli, la casa di produzione Reiac che lo vede ancora impegnato nella realizzazione di documentari, film industriali e programmi per la televisione. Nel 2000 fa il suo esordio letterario con il romanzo storico Un caso di destino, con un buon successo di critica nazionale e internazionale. Film realizzati a Torino e in Piemonte: La pattuglia sperduta (1952). Riso amaro (1949) in qualità di aiuto regista.

sabato 23 marzo 2013

I Muratori, di Michele Gandin (1959). Cortometraggio documentario

Un piccolo estratto della puntata di CortoReale del 23/03/2013. I Muratori, di Michele Gandin (1959). Con commento di Marco Bertozzi, storico cinematografico, che cura la trasmissione in onda il sabato alle 17:00 su Raistoria. Di quelli che sono stati proposti in questa puntata, I Muratori mi ha colpito particolarmente per il modo semplice ma profondo con cui il regista illustra, e ci fa sentire, la condizione dei lavoratori edili. E poi anche perchè il lavoro del muratore mi ha sempre affascinato e allo stesso tempo spaventato per la durezza e la fatica che lo contraddistinguono (è stato il mio primo lavoro: un'estate di parecchi anni fa mio padre mi "mandò a fare il manovale" con un suo conoscente che aveva una ditta. Scoprii che quello non poteva essere il mio lavoro ahahaha!!!). La vita lavorativa media di un operaio edile è di gran lunga più breve rispetto ad altri lavori di minor fatica ed esposizione alle intemperie. Per questo sono sempre rimasto affascinato dalla cura e generosità di quei vecchi muratori di paese, che conoscono a menadito l'arte del "Fabbricare" e hanno sempre una soluzione a tutto. Buona visione.


Biografia di Michele Gandin

  Nato a Bagnaia nel 1914, Michele Gandin è stato giornalista, cineasta e fotografo, assistente regista di Vittorio De Sica a partire dal 1941, fino al 1973 impegnato in un’intensa attività di documentarista. Compagno di vita e di ricerca di Annabella Rossi nell’indagine visiva sugli aspetti cerimoniali della tradizione popolare, con attenzione particolare agli ambienti disagiati delle alterità sociali e culturali, come testimoniano le fotografie di realizzate negli anni ’50 e ’60 nel Lazio e nell’Italia meridionale (Gente di Trastevere 1961, Processioni in Sicilia 1965, Terremoto in Sicilia 1968), relative a contesti urbani, infanzia, vita contadina, feste e spettacoli popolari, Gandin affronta con tensione poetica e politica i temi sociali dell’indagine antropologica, denunciando le responsabilità istituzionali del degrado di realtà subalterne, nel ritratto di Guido Aristarco, con "una grande capacità di sdegnarsi".
È il caso del cortometraggio Gli esclusi, girato nell’ospedale psichiatrico di Nocera Inferiore nel 1956, che diventerà strumento di lotta per i movimenti impegnati nella chiusura dei nosocomi, o di Non basta soltanto l’alfabeto (1959), realizzato con l’intervento dell’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo, come pure Cristo non si è fermato a Eboli (1952), vincitore del Gran Premio per il miglior film documentario alla IV Mostra internazionale del Film Documentario e del cortometraggio di Venezia col merito di aver evidenziato le profonde contraddizioni del meridione italiano indagando la piaga dell’analfabetismo a Salvia, paese lucano in cui: "l’alfabeto porta l’acqua nelle case e una corriera nella piazza del paese, porta nuovi sogni e nuovi luoghi da attraversare con la fantasia".
Gli intervistati rispondono con le loro voci, senza doppiaggio, e la fotografia si impone come mezzo privilegiato dell’analisi della realtà con inquadrature lunghe e fisse che definiscono nell’assenza del movimento la staticità dei volti, degli sguardi e dei gesti scolpiti in un tempo colpevolmente sottratto dalla storia. Negli stessi luoghi Gandin torna due anni dopo, nel 1954, a girare a Pisticci il cortometraggio Lamento funebre, con la consulenza scientifica di Ernesto De Martino, per l’incompiuta Enciclopedia Cinematografica Conoscere: un’opera con finalità essenzialmente didattiche, destinata alla programmazione nelle sale, in cui ogni voce doveva avere una durata non superiore ai tre minuti, e di nuovo, nel 1954 a Tricarico, a documentare il primo anniversario della morte di Rocco Scotellaro. Michele Gandin muore a Roma nel 1994.

martedì 19 marzo 2013

The Mindscape Of Alan Moore. Documentario/Retrospettiva sull'opera e la vita del leggendario fumettista inglese.



Con questo post oggi voglio tornare al genere che per primo ha stimolato la mia grande passione per la lettura. Sto parlando naturalmente del "fumetto", o "comics". E il documentario che vi propongo è dedicato ad una delle leggende mondiali di quest'arte ancora, a torto, considerata minore. Alan Moore, che insieme ad Hugo Pratt fa parte del pantheon dei miei miti fumettistici, è autore, disegnatore, romanziere e grande appassionato di esoterismo. Tra i suoi capolavori ci sono opere come Watchmen, il mio preferito, La lega degli straordinari Gentlmen, From Hell e V per Vendetta, solo per citarne alcune. Attualmente sto leggendo uno dei suoi ultimi lavori, Neonomicon.
Storie grandiose che hanno innalzato l'arte fumettistica al pari della letteratura tradizionale. Le sue opere, sempre molto politiche, anche se apparentemente sembrano discostarsi dall'attualità, hanno la capacità di catturare il lettore e trasportarlo nel suo mondo, che di volta in volta è popolato di figure e ambientazioni diverse. Non un unico genere dunque, ma un'infinità di opzioni narrative e scenografiche che riescono ad interessare anche coloro non sono molto avvezzi al fumetto, e sensibilizzare i lettori su tematiche che risulterebbero piuttosto ostiche se veicolate con i media tradizionali.
Il documentario, o retrospettiva sull'opera di Alan Moore, è stato girato nel 2005 da Dez Vylenz, ed è il racconto di come Moore sia cresciuto e del perchè abbia deciso di utilizzare il mezzo del fumetto per parlare di ciò che lo interessa. Ma è anche uno spaccato sulla creatività umana, di come le storie che leggiamo possono influenzarci e sulla responsabilità che risiede in coloro queste storie le raccontano.
Il filmato ha una durata di 77' e vi consiglio caldamente di guardarlo. Se siete dei fans di Alan Moore non potete perderlo e se non lo siete è il modo, e il momento, giusto per diventarlo. Buona visione.

Oltre al documentario il link che trovate qui sotto è la biografia di Alan Moore proposta  da Wikipedia, che tocca i temi e le tappe principali della vita e dell'opera dell'autore inglese, nato a Northampton, città dove tuttora è "rifugiato", il 18 novembre del 1953.
http://it.wikipedia.org/wiki/Alan_Moore

Alan Moore parla di Neonomicon
 http://conversazionisulfumetto.wordpress.com/2011/05/23/alan-moore-parla-di-neonomicon/

Intervista ad Alan Moore su "Voice of the fire - A Novel"
http://www.fumettidicarta.it/Farenheit451/A.MooreVoiceOfFire/Voice_Of_Fire.htm


The Mindscape Of Alan Moore, di Dez Vylenz (2005)

E’ il racconto di come Moore sia cresciuto, del perché abbia scelto di raccontare alcune cose e non altre, del perché abbia fatto alcune scelte professionali. Ma è soprattutto uno spaccato eccezionale sulla creatività umana, sul perché l’uomo racconta e sul potere di quei racconti. Su come le storie influenzino ognuno di noi e sulla responsabilità che ricade su chi, quelle storie, le racconta.
Guarda il documentario su The Mindscape Of Alan Moore (2005) http://ildocumento.it/in-vetrina/the-mindscape-of-alan-moore-2005.html
E’ il racconto di come Moore sia cresciuto, del perché abbia scelto di raccontare alcune cose e non altre, del perché abbia fatto alcune scelte professionali. Ma è soprattutto uno spaccato eccezionale sulla creatività umana, sul perché l’uomo racconta e sul potere di quei racconti. Su come le storie influenzino ognuno di noi e sulla responsabilità che ricade su chi, quelle storie, le racconta.
Guarda il documentario su The Mindscape Of Alan Moore (2005) http://ildocumento.it/in-vetrina/the-mindscape-of-alan-moore-2005.html
E’ il racconto di come Moore sia cresciuto, del perché abbia scelto di raccontare alcune cose e non altre, del perché abbia fatto alcune scelte professionali. Ma è soprattutto uno spaccato eccezionale sulla creatività umana, sul perché l’uomo racconta e sul potere di quei racconti. Su come le storie influenzino ognuno di noi e sulla responsabilità che ricade su chi, quelle storie, le racconta.
Guarda il documentario su The Mindscape Of Alan Moore (2005) http://ildocumento.it/in-vetrina/the-mindscape-of-alan-moore-2005.html

giovedì 14 marzo 2013

America 24, trasmissione di Radio24 condotta da Mario Platero, fà l'elogio del Fracking. Chiedendo lumi solo ai petrolieri e fregandosene dei danni all'ambiente e alle persone. Ottima informazione, gli ascoltatori ringraziano



Qualche giorno fa ho pubblicato un lungo e approfondito post sul fracking, ultima frontiera dell'estrazione di gas naturale, sottolineando i gravi danni che potrebbe provocare (e provoca) all'ambiente e di conseguenza alle persone. Nel post ho cercato di portare all'attenzione gli innumerevoli casi di malattie e disastri ecologici che, soprattutto negli Stati Uniti, lo sfruttamento dello shale gas sta provocando nelle zone interessate dalla presenza di giacimenti. Un altro elemento che mi aveva notevolmente colpito, e che ho messo in evidenza nel post, riguardava la quasi completa assenza di interesse da parte della stampa italiana per l'argomento. Qualche articolo sulle edizioni web di alcuni quotidiani è tutto quello che sono riuscito a trovare, per un tema che ha risvolti ecologici e geopolitici importantissimi. Tutto ciò, comunque, non mi ha sorpreso, dato il completo assorbimento della stampa italiana per le beghe politiche nostrane. Oggi però accendo il pc e mi trovo davanti al fatto che una trasmissione di Radio24, America 24 condotta da Mario Platero, nella sua trasmissione quotidiana prende in esame proprio il tema dello shale gas. Mi sono detto, oltre alle opportunità economiche parlerà sicuramente anche dei risvolti ambientali. E invece no, ne fa l'elogio sperticato, mettendo in evidenza esclusivamente come il fracking riuscirà a rendere gli USA indipendenti dal punto di vista energetico. Già dal titolo si capisce tutto: "Shale gas, per l'America in arrivo un Boom energetico e la completa autonomia dal punto di vista dell'energia". E poi continua in questo modo: "L'America scoperto l'equivalente di due Arabie Saudite dal punto di vista petrolifero. Secondo uno studio eseguito negli Stati uniti, uno dei primi che riguardano lo shale gas, l'america ha davanti a sè 30 anni di boom energetico. Lo shale gas è metano intrappolato in giacimenti argillosi. Negli ultimi vent'anni la sua estrazione, basata sull'infiltrazione nel sottosuolo di potenti getti d'acqua, è diventata economicamente conveniente... I nuovi milionari dello shale gas sono agricoltori, e secondo uno dei due autori dello studio c'è equilibrio tra sicurezza geologica e ritorno economico. Tutti i dettagli e le voci nell'approfondimento con Mario Platero". Ma come si fa a parlare di contadini "milionari"? Basta vedere in che condizioni sono le persone che abitano nei dintorni dei pozzi: acqua potabile mista a gas, inaridimento dei terreni, tumori, disturbi respiratori, emicranie croniche etc etc. Il Buon Platero, che ogni tanto ascolto, dovrebbe informarsi meglio sul tema. O quanto meno evitare di fornire ai suoi ascoltatori solo la voce dei petrolieri, che comunque va ascoltata perchè le risorse stimate di gas naturale, sfruttabili con la tecnica del fracking, sono molto importanti. Basterebbe, per lui, guardare un po' il documentario Gasland che, mi pare, dia delle delucidazioni più che sufficienti sull'argomento. Eviterebbe di dire delle grosse baggianate, come quella dei "contadini milionari", e darebbe un'informazione più completa. Amen!!!

Per chi volesse ascoltare la trasmissione, questo di sotto è il link:
 http://audio.radio24.ilsole24ore.com/radio24_audio/2013/130314-america24.mp3 

Non so se l'argomento è stato trattato nella puntata che ho linkato sopra. In ogni caso ecco il link della pagina del sito di Radio24 dove si parla dello shale gas, e dove è possibile ascoltare l'estratto che parla del tema: Ecco il link:  http://www.radio24.ilsole24ore.com/notizie/america24/2013-03-14/shale-lamerica-arrivo-boom-152356.php

lunedì 11 marzo 2013

Fracking: che cos'è e quali sono i rischi della "nuova età dell'oro del gas naturale"



Nell'ultimo decennio il mondo, o quantomeno una parte di esso, sembrava definitivamente essersi avviato verso un maggiore sviluppo delle fonti di energia alternativa e quindi una lenta ma decisa riduzione delle fonti fossili. La ricerca scientifica per l'ottimizzazione di rinnovabili come il sole, l'acqua, il vento, il geotermico etc. ha ricevuto in alcuni paesi un impulso determinante, grazie a politiche energetiche che in qualche modo hanno cercato di ridurre il consumo di idrocarburi e carbone fossile. La Germania si è addirittura prefissata di arrivare a coprire, entro il 2050, il 100% del proprio fabisogno energetico con le fonti rinnovabili. Ma oltre ai tedeschi un po' tutta l'Europa, che è il continente trainante in questo settore, ha implementato la produzione di energia pulita e fatto progetti per un futuro libero dall'anidride carbonica prodotta dalla combustione di gas, petrolio e carbone. Accanto ai temi dell'ambiente l'utilizzo di "energia verde" prometteva ( e promette ) in prospettiva anche una maggiore autosufficienza energetica e libertà dalle bizze dei mercati e dei produttori di idrocarburi, in particolare per quei paesi, come l'Italia, che vedono il proprio territorio completamente sfornito di risorse fossili.

Questo era ciò che ci avevano detto. Ma a quanto pare, forse, non sarà così, perchè a sentir parlare alcuni esperti del settore siamo davanti ad una "nuova era degli idrocarburi e del gas naturale". Si, perchè a differenza di quello che credevamo, e che la Teoria di Hubbert suggeriva, cioè che le risorse fossili stimate, ed economicamente sfruttabili, presenti sul pianeta fossero ormai agli sgoccioli, in realtà in alcuni luoghi del mondo sono celate immense riserve vergini di gas naturale e petrolio, rese finora inaccessibili dall'assenza di una tecnologia per l'estrazione economicamente vantaggiosa. Oggi però quelle risorse fanno gola a molti, grazie ad una nuova/vecchia tecnica chiamata Fracking  (abbreviazione di hydraulic fracturing, che significa fratturazione idraulica). Un processo di stimolazione di giacimenti petroliferi messo a punto nel 1947 negli Stati Uniti,  ed utilizzato commercialmente per la prima volta nel 1949 dalla Halliburton. Questa tecnologia permette l'estrazione in particolare di gas naturale, ma anche petrolio quando si è in presenza di scisti bituminosi, da quelle che sono chiamate rocce scistose o scisti. Voi vi chiederete: cosa diavolo sono queste scisti? Non una malattia evidentemente, ma delle formazioni di rocce argillose  nelle cui microporosità è intrappolato del gas che non ha completato il proprio percorso naturale di risalita e si trova dunque a grandi profondità. L'argilla è scarsamente permeabile; per cui questi giacimenti non possono essere messi in produzione spontanea, come avviene nei giacimenti convenzionali, ma necessitano di trattamenti per aumentarne artificialmente la permeabilità (fonte: wikipedia). E proprio questa non concentrazione del gas in un unica sacca, e la bassa permeabilità delle rocce, fino a poco tempo fa era il problema che ne sanciva l'antieconomicità per lo sfruttamento commerciale. Non era possibile, come avviene in qualsiasi altro giacimento di gas "convenzionale" (il gas da scisti è invece detto "non convenzionale"), trivellare in verticale, arrivare alla sacca e poi tirare su la risorsa proprio per il problema sopra descritto. Fino a poco tempo fa, perchè all'incirca dall'inizio del XXI secolo una piccola compagnia petrolifera americana del Texas, la Mitchell Energy, nel giacimento di Barnett Shale in Texas, unendo due tecnologie già conosciute, come la fratturazione idraulica e la trivellazione orizzontale, e andando contro lo scetticismo delle grandi multinazionli del petrolio, ha risolto il problema, aprendo l'era dello sfruttamento dello "shale gas", come viene chiamato in inglese. 

                          

Come avviene il processo di estrazione

La tecnologia della "fratturazione" consiste nel trivellare, con una trivella cava che permette il passaggio di liquidi ed altri materiali al proprio interno,  fino ad una profondità che varia tra i 1500 e i 6000 metri (la maggior parte dei giacimenti si trovano compresi fra queste quote). Una volta raggiunte verticalmente le scisti, dato che il gas non è racchiuso in un'unica sacca ma distribuito per tutta la formazione rocciosa, si prosegue per via orizzontale. Terminato il processo di perforazione attraverso la trivella viene sparato ad altissima pressione, per generare profonde fratture nello strato di roccia, un misto di acqua e sabbia, che serve per non far richiudere le fratture, insieme a centinaia di additivi chimici che favoriscono la risalita del gas a quote più facilmente accessibili. Il problema ecologico sorge proprio in questo momento, quando la mistura di acqua, gas e composti chimici risale e incontra le falde acquifere inquinandole in maniera micidiale



  I problemi per l'ambiente e questione economica
. Le aziende americane che operano in questo settore non hanno l'obbligo di dichiarare quali sostanze utilizzano per il processo di fracking, ma grazie ad alcune analisi indipendenti sappiamo che, tra le altre, nel mix di additivi si possono trovare naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formadelhyde, acido solforico, thiourea, cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrylamide, ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldehyde. Ma anche uranio, radio e mercurio, tutte sostanze cancerogene e radioattive, molto nocive per la salute dell'uomo. Le malattie legate a questa pratica vanno dall'asma ai tumori più disparati e danni al fegato e ai reni causati da un misterioso componente non ancora identificato, di cui conosciamo soltanto la sigla, EXP-F0173-11 . Roba da far gelare il sangue nelle vene. Ancor di più se si pensa che negli Stati Uniti sono oggi attivi più di 20mila pozzi, e il numero è destinato inesorabilmente ad aumentare. Oltre alle malattie c'è poi la desertificazione dei terreni sovrastanti i giacimenti, l'inquinamento atmosferico, dato dalla dispersione fisiologica nell'atmosfera di circa il 7,5% del gas estratto, e una non ancora ben chiarita relazione con dei terremoti accaduti nelle vicinanze di alcuni giacimenti. Tra questi, l'episodio più vicino a noi, in cui è stato messo in relazione un terremoto con la pratica del fracking, riguarda il sisma che ha colpito l'anno scorso l'Emilia-Romagna, ma gli studi su quest'attinenza sono ancora allo stadio iniziale. Accanto a tutto ciò c'è poi il problema dell'acqua potabile mista a gas: in alcune case vicine alle zone di estrazione, se si avvicina una fiamma ad un rubinetto aperto l'acqua si incendia. In un caso l'abitazione di un uomo è esplosa. Per ora però lo sfruttamento dello shale gas è una questione che riguarda soprattutto gli USA, dove si è diffuso maggiormente in stati come la Pennsylvania, Texas, Wyoming e Colorado, mentre New York e Illinois stanno valutando la sua adozione. Finora solo il piccolo e liberal Vermont ha vietato il fracking. Ed è proprio negli Stati Uniti che si sono registrati i maggiori danni all'ambiente. Un rapporto pubblicato nel 2010 da un’associazione della Pennsylvania ha dimostrato che dal gennaio 2008 all’agosto 2010 ci sono state ben 1435 violazioni delle leggi statali sull'estrazione di petrolio e gas, e che almeno 952 di queste hanno avuto effetti negativi sull’ambiente (fonte: noncicredo.org). A rischio, come si vede nel documentario Gasland del regista Josh Fox, che ha portato alla ribalta mondiale il problema, è addirittura il fiume Delaware, ben presente nella memoria storica americana perchè la notte di natale del 1776 fu attraversato da George Washington alla testa dell sue truppe, in quello che fu uno dei primi atti della guerra d'indipendenza americana. Oltre a questo significativo evento storico il problema oggi è rappresentato dal pericolo che corrono le sue acque, un bacino idrografico tra i più grandi al mondo e il più importante d'America, che rifornisce di acqua potabile all'incirca 15 milioni di abitanti sparsi fra Philadelfia e New York. L'acqua, come abbiamo visto prima, è fondamentale nel fracking, perchè ad altissima pressione procura le fratture nella roccia e veicola la sabbia e gli additivi chimici. Il consumo di acqua nel processo è altissimo: per ogni pozzo ne vengono utilizzati dai 4 ai 10 milioni di litri, e ogni pozzo può essere fratturato fino a 20 volte. Tutto ciò significa, per il solo stato della Pennsylvania, un consumo annuale di acqua per il fracking che varia dai 150 ai 300 miliardi di litri. Sarebbe da pazzi e criminali mettere in pericolo una tale risorsa, base stessa della vita umana, ma tant'è, oggi il gas la fa da padrone. In questi anni in America si sono organizzati numerosi movimenti di protesta Anti-fracking, ma la grande remuneratività di tale sistema di estrazione rende difficile la salvaguardia dell'ambiente e delle persone. Nel sottosuolo nord'americano secondo l'EIA (Energy Information Administration) ci sarebbero circa 21 mila miliardi di metri cubi di gas. Una quantità enorme, tale da far parlare di "America Saudita". Le stime delle riserve accertate, più 1600 miliardi di metri cubi che secondo l'EIA si trovano in giacimenti ancora inesplorati, faranno degli Stati Uniti nei prossimi dieci anni il primo produttore al mondo di risorse fossili, procurando al paese un risparmio di molti miliardi di dollari e soprattutto l'affrancamento dalle turbolenze del medio-oriente, da cui oggi gli States acquistano la maggior parte del petrolio. Questo sarà nei prossimi anni un elemento decisivo per decidere se e come sfruttare lo shale gas, anche a discapito dell'ambiente. Vedremo cosa accadrà, per il momento la pratica è poco regolamentata e lasciata in balìa di molti piccoli produttori che, per far quadrare i conti e cercare di lucrare al massimo sulle proprie concessioni, non si fanno molti scrupoli sulla tutela delle persone e dell'ambiente. Sono molte le cause avviate in vari stati per danni agli uomini e per inquinamento ambientale, ma il peso economico delle società spesso ha la meglio, soprattutto perchè ai proprietari dei terreni circostanti i pozzi vengono offerte ingenti somme di denaro per vendere la terra e trasferirsi altrove e, com'è facile capire, in molti abbandonano la lotta pur di ricominciare a vivere una vita sana e normale. Alla base della questione legale collegata al fracking c'è la legge federale del 2005 promossa da George Bush e Dick Cheney, denominata "Energy Policy Act", che permette alle aziende che operano nel campo energetico di bypassare norme come il Safe drinking water act (per la difesa dell'acqua potabile), o il Clean air act e il Clean water act, tutte leggi  varate negli anni '70 per tutelare le risorse ambientali, in particolare l'acqua potabile. Il caso ha poi voluto che la maggior parte delle riserve si trovasse in regioni, come quelle medio-orientali degli Stati Uniti, economicamente depresse e spesso poco densamente abitate, rendendo ancora più difficile l'organizzazione di una lotta efficace contro le lobby dei petrolieri.




In questo video è possibile vedere i terribili effetti del fracking sulle falde acquifere. Dal rubinetto escono, insieme all'acua, fiamme provocate dal gas.


L'Europa e l'Italia

Come dicevo prima, per ora lo sfruttamento di queste risorse è una questione che interessa in larga parte gli Stati Uniti d'America. Giacimenti importanti, però, si trovano in tutti i continenti, e sono li pronti per essere scoperti e sfruttati. In Europa uno dei paesi stotto osservazione, e con le maggiori prospettive, è la Polonia, dove anche l'Italiana Eni ha acquistato delle concessioni per iniziare la ricerca si shale gas. L'Eni ha inoltre acquistato blocchi per l'esplorazione anche in Tunisia, Cina ( dove si pensa ci possano essere le maggiori riserve al mondo) e Ucraina, paese europeo con le riserve più importanti di gas "non convenzionale". Sul sito web dell'Ente Nazionale Idrocarburi, nella pagina dedicata allo shale gas, la multinazionale italiana tradisce tutto il suo ottimismo per le nuove opportunità che si sono aperte per il gas naturale. Non vi è nessun riferimento a danni ambientali o pericoli per gli esseri umani che potrebbero presentarsi con l'adozione in larga scala del fracking. Nel breve articolo, intitolato "l'età dell'oro del gas", è citato il rapporto 2011 dell'IEA (International Energy Agency), dove l'organizzazione (cupola mondiale dei petrolieri) fornisce le stime per le riserve di gas naturale presenti sul pianeta, intorno ai 400.000 miliardi di metri cubi, tali da assicurare il fabisogno di gas naturale, agli attuali consumi mondiali, per altri 250 anni. Ma non dovevamo andare oltre? E invece in questo articolo si parla di altri due secoli e mezzo di dipendenza da risorse energetiche fossili.
Un altro paese, molto vicino all'Italia, in cui si potrebbero trovare quantità significative di shale gas è la Francia, e in particolare nel sottosuolo dell'altopiano di Larzac, nella parte sud-occidentale del paese. I nostri cugini, però, si sono mossi in tempo, e grazie a organizzazioni, comitati e movimenti civici per la tutela dell'ambiente hanno indotto il governo a bloccare tutte le esplorazioni ma non la ricerca di giacimenti. Altri paesi in cui si sono iniziate le ricerche, e che avrebbero buone prospettive, sono Austria, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Romania, Repubblica Ceca e Regno Unito. Bulgaria e Lussemburgo hanno per il momento vietato la pratica del fracking.
Venendo all'Italia, anche se ufficialmente nel nostro paese non vi è estrazione tramite fratturazione di rocce scistose, in realtà tentativi di ricerca e trivellazione sono stati fatti. Come in Emilia-Romagna, ma soprattutto in Toscana, in provincia di Grosseto, a Ribolla, paesino di circa 2mila abitanti. La prima a denunciare il fatto che anche in Italia si pratica il fracking è il fisico e ambientalista Maria Rita d'Orsogna sul suo blog. Il fatto sconvolgente è che nel piccolo paese toscano l'attività di fratturazione è stata realizzata in una vena di carbone che, come se non fosse già inquinante di per se, rende il fracking ancora pù pericoloso per l'ambiente. Nessuno sapeva nulla. O quantomeno, parlo dei giornalisti, nessuno se ne era mai occupato. La società che ha la concessione per la trivellazione è la britannica  Indipendent Resources, che si è accaparrata una concessione su di un territorio di 247 chilometri quadrati. La zona in questione, nella Toscana sud-occidentale, è storicamente nota per le sue miniere di carbone, progressivamente abbandonate nel ventesimo secolo perchè diventate poche appetibili dal punto di vista commerciale.  Il gas intrappolato nelle vacuità delle vene carbonifere è chiamato Coal Bed Methane, ed è in pratica il "fratello cattivo", come lo definisce la D'Orsogna, dello shale gas, perchè i giacimenti si trovano molto più vicini alla superficie rispetto alle scisti argillose, circa mille metri, ed è dunque molto più facile che le falde acquifere vengano inquinate. Le prime fratturazioni sono state effettuate nel 2006 e poi nel 2009, mentre oggi la società che le ha realizzate sta cercando dei partners per sfruttare al meglio il giacimento. Purtroppo nel nostro paese, povero di risorse fossili, non c'è una legislazione chiara in merito al fracking e si spera che, dato l'incombere del problema, nei prossimi anni, magari con il prossimo governo, che ha all'interno delle importanti sensibilità ambientaliste portate dal M5S, si possa correggere questo vuoto legislativo.
E un vuoto legislativo è stato ravvisato anche da uno studio commissionato dalla Commissione Europea in merito allo shale gas. L'europarlamento non ha definitivamente chiuso la porta alla pratica, ma ha messo in guardia i paesi membri sui rischi che questa potrebbe comportare sia per il consumo importante di acqua che per l'inquinamento delle falde, fino ad arrivareall'incremento dell'inquinamento atmosferico dato dalle fughe di gas che avvengono, fisiologicamente per un 30% in più rispetto al gas convenzionale, durante l'estrazione. La legislazione in materia è comunque lasciata alla discrezione dei vari paesi che compongono l'Unione Europea: come ho già accennato Francia, Bulgaria e Lussemburgo hanno già deciso di sospendere le esplorazioni, mentre altri stati membri come Polonia, Germania, Svezia, Olanda e Regno Unito hanno dichiarato che se verranno individuati giacimenti commercialmente sfruttabili si passerà all'estrazione. Il tutto, dunque, è in divenire. Speriamo solo che il vecchio continente, che tante volte ha insegnato al mondo il rispetto dell'ambiente, possa di nuovo porsi all'avanguardia di questo tipo di tematiche. Che non vuole assolutamente dire rinunciare al progresso o a risorse strategicamente importanti, tutt'altro.




Clicca per vedere l'animazione di come la fratturazione inquina le falde acquifere
 http://www.gaslandthemovie.com/swfs/100621/fracking.swf

Conclusioni

Alla fine di questo lungo, e aimè incompleto, viaggio attraverso rocce scistose, shale gas, danni ambientali e esigenze energetiche il dato di fatto incontrovertibile è quello che riguarda il pericolo per il futuro del nostro mondo. Un futuro che, come citavo all'inizio, soprattutto noi europei, avevamo immaginato libero dalle risorse fossili. La scoperta e la possibilità di estrazione di tutto questo gas naturale rimette completamente in discussione l'avvenire del nostro pianeta. Secondo un documento del Dipartimento dell'Energia americano entro il 2035 la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (escluso l’idroelettrico) sarà attorno al 3% del totale, un valore molto basso. Perfino più basso delle stime già fatte nel 2010. E il dato così pessimista, com'è facile intuire, è certamente influenzato dalla scoperta di così ingenti risorse di gas naturale. Un deputato al congresso americano, cito a memoria perchè non ho trovato la fonte, ha detto che "in futuro, quando gli storici studieranno la nostra epoca diranno quanto siamo stati stupidi a spendere così tanti miliardi di dollari in fonti rinnovabili. Mentre sotto i nostri piedi si celava una tale quantità di risorse energetiche. Una nuova era degli idrocarburi". Speriamo di no, ma il pericolo è serio, e non solo quello imminente provocato dall'inquinamento delle falde a causa della fratturazione, ma anche e soprattutto quello a lungo termine riguardante l'inquinamento atmosferico che genera l'effetto serra, dato dalla mancata riduzione del consumo di gas, petrolio e carbone. La partita energetica che si giocherà nei prossimi decenni, e che avrà come posta in palio la sopravvivenza del nostro pianeta, alla luce di tutto ciò diventa ancora più difficile, ma allo stesso tempo fondamentale. E tra le ipotesi, per il fronte ambientalista, non è contemplata la sconfitta. Un'ultima ma importante amara constatazione: i giornali italiani, che in questi giorni di convulse trattative politiche per la formazione del nuovo governo, si arrabattono per avere una dichiarazione di questo o quel politico, non hanno parlato quasi per niente del problema del fracking. Una notizia di tale portata, capace di sconvolgere gli assetti geopolitici mondiali, non interessa gli italiani? Io penso di si. E penso che magari sarebbe il caso di dare più spazio a temi di questo tipo, anche per creare tra l'opinione pubblica di questo paese una sensibilità che oggi latita.

Per approfondire il tema consiglio la visione del documentario Gasland.
Sito ufficiale del documentario: http://www.gaslandthemovie.com/
Documentario in streaming dal sito noncicredo.org: Clikka qui
Questo articolo è stato realizzato usufruendo dei dati pubblicati da noncicredo.org, il blog di Maria Rita D'Orsogna, articoli trovati sui siti de La Stampa, Il Sole24Ore, Il Fatto Quotidiano, Repubblica.