sabato 29 gennaio 2011

L'Egitto e il mondo arabo non saranno più gli stessi

Se qualcuno nutriva ancora qualche dubbio sulla radicalità del cambiamento che in queste ore si va profilando in Egitto e, di conseguenza, in gran parte del mondo politico arabo, senza ombra di dubbio è stato smentito dal progredire della rivolta, ma ancora di più dai numerosi comunicati che arrivano dal governo americano. Prima lo stesso Obama, poi il segretario di stato Clinton in questi giorni hanno voluto studiare con precisione l'evolversi della situazione per definire una strategia che non precluda loro il dialogo con il nuovo che avanza, in maniera irreversibile, nel più grande e importante paese arabo. Tattica attendista scelta per scongiurare un fatale autogol politico che, a mio avviso, si profilava quando il presidente degli Stati Uniti nella sua dichiarazione esortava Mubarak a concedere riforme e maggiori diritti, palesando una linea che voleva il vecchio faraone, benchè indebolito, ancora protagonista della scena politica egiziana. E' di queste ore però il comunicato del Dipartimento di stato che recita: "siamo con il popolo"; scelta di campo ovvia, dato che è ormai lampante che qualsiasi sia il futuro dell'Egitto sarà di per certo libero da Mubarak.

L'Italia in tutto ciò tace. La possibilità di riacquistare il suo naturale ruolo di cerniera tra l'Europa e il basso Mediterraneo, scenario auspicabile data la totale perdita di influenza internazionale patita dal nostro paese in questi ultimi decenni, annaspa tra il "puttanaio di Arcore" e il nuovo ruolo di postino internazionale, svolto dal nostro ministro degli esteri, Frattini, nell'affaire Montecarlo che vede implicato il presidente della camera Fini. La linea del nostro governo, dati i rapporti tra Berlusconi e Mubarak e la manifesta impossibilità a occuparsi di altro che non siano i prblemi del premier, è di completo appoggio al dittatore egiziano. D'altronde Berlusconi tra Gheddafi, Putin e Mubarak è in buona compagnia e proprio come il vecchio faraone di scollarsi dalla poltrona non ci pensa proprio. Ma cosa succederà una volta, speriamo presto, che l'Egitto avrà un nuovo governo e si dovranno riallacciare rapporti diplomatici e economici con il paese nord africano? Boohh!!!! Speriamo che anche Berlusconi non ci sia più così potremo dire che era colpa sua e che non ne sapevamo niente. A parte gli scherzi, perderemo di nuovo il treno che ci potrebbe riportare al centro della scena internazionale, con buona pace di chi obbietta che in questi anni se c'è una cosa che Berlusconi ha fatto di buono è proprio in politia estera, dove ci manca solo che si metta ad invitare a villa Certosa anche Kim Jong il e sono al completo.

Detto questo, da questi cinque giorni di vampa egiziana qualcosa si può già ricavare: oltre al destino manifesto di Mubarak che, al contrario di Ben Ali, possiamo esserne certi venderà cara la pelle ma alla fine verrà defenestrato, lo scenario più complicato da dipingere rappresenta il dopo. Ci sarà un governo laico? Teocratico? Al Qaeda influirà sulle sorti del paese? La diga laica nel mondo arabo sta crollando e i paesi occidentali non fanno mistero alcuno di starsela facendo sotto dalla paura. Bisogna però fare una doverosa distinzione tra Fratelli musulmani, il principale partito di ispirazione islamica, e i fondamentalisti di Al Qaeda: i primi hanno rinunciato alla violenza e sono una forza politica che si rifà di più al modello turco che a quello iraniano, con Al Qaeda che in certi casi rappresenta per loro addirittura un ostacolo all'ascensione a partito di governo. Inquesti anni sono stati in tutti i modi repressi, anche se il regime non è riuscito a cancellarli, anzi, in clandestinità il movimento si è rafforzato ed è proprio la nuova generazione, quella cresciuta sotto la repressione di Mubarak, a non voler attendere con pazienza una transizione pilotata. Vede all'orizzonte dopo tanti anni la possibilità di far saltare il banco e assumere la guida del paese e scalpita perchè ciò avvenga. Non bisogna dimenticare però, che l'Egitto politico è un paese piuttosto variegato, composto di numerose forze: comunisti, socialdemocratici, teocratici e la deriva integralista non è affatto scontata, forse è la meno probabile. Il popolo egiziano non sta lottando per farsi opprimere da un nuovo potere totalitario e c'è da giurare che non accetterà nuovi despoti. d'altronde l'occidente con la sua consueta ipocrisia ha da sempre appoggiato i vari dittatori che garantivano un argine alla deriva integralista, fregandosene allegramente dei diritti civili e del benessere dei popoli sottomessi. L'importante era non far passare i turchi a Lepanto. Ma allora come si giustificano dieci anni di guerre fatte, come fosse un'operazione di marketing commerciale, per esportare la democrazia. Se è questa democrazia che vogliamo esportare, che dice bene noi affanculo gli altri, beh, allora forse fanno bene ad insorgere in Affghanistan e Iraq. La verità è che l'occidente fà solo i suoi interessi. E allora finiamola con questa odiosa ipocrisia, diciamolo: non ci frega chi mettete al potere, l'importante è che ci garantite petrolio, fronttere sicure contro l'immigrazione clandestina e pace per Israele. In sintesi non è questo che cerchiamo, noi occidentali?

venerdì 28 gennaio 2011

La vampa che incendia il Mediterraneo


Da giorni ormai l'intero panorama mediatico italiano, e di conseguenza l'opinione pubblica, sono interamente, pervicacemente e in maniera piuttosto noiosa focalizzati sulle questioni private e non che interessano il "nostro" presidente del consiglio, Silvio Belusconi. I giornali, i tg e le cosiddette trasmissioni televisive di approfondimento politico hanno come unico comune denominatore le intercettazioni delle grottesche conversazioni tra le componenti dello squallido harem berlusconiano e i lenoni e, ahimè, i non eunuchi che lo gestiscono. La povertà di tale panorama è lampante, ma lo è ancora di più se si pensa che a pochi chilometri dalle nostre coste, sulle rive di quel mediterraneo incubatrice, culla e precettore della nostra civiltà contemporaneamente si sta giocando una partita storicamente decisiva per le sorti dell'intero teatro. Pochi scampoli di tg, al massimo un paio di pagine di giornale e lievi accenni radiofonici rappresentano tutta la copertura data dai nostri media alla vampa che dilaga nel nord'Africa e che ha iniziato ad incendiare persino le coscenze dello Yemen, paese storicamente stabile dal punto di vista politico perchè ultra-repressivo. Fatta questa breve ma doverosa premessa, mi piacerebbe condividere con i (pochi) lettori di questo blog l'entusiasmo, la fibrillazione e l'interesse per quelle che di certo passeranno alla storia come le rivoluzioni arabe del 2011, che ricordano molto da vicino gli eventi che animarono il cambiamento in Europa in quel troppo lontano 1848. Sia chiaro, il mio entusiasmo e la mia eccitazione non sono affato provocate dal sangue che purtroppo scorre e inevitabilmente scorrerà per le strade, nè dalla prospettiva che la testa di qualche despota dei paesi in questione penzoli dal patibolo, penso che tutto ciò sia inevitabile e faccia parte indissolubilmente del corollario di eventi che accompagnano una rivoluzione. La felicità che provo nel vedere quelle piazze gremite di gente è dovuta invece alla sensazione che finalmente anche le genti di paesi che, sulla carta, si proclamano democratici, magari non tutti e subito, possano ottenere la tanto agognata partecipazione alla cosa pubblica che in occidente dovrebbe essere scontata. Non che la democrazia sia di per certo la panacea ad ogni male, ma tant'è, questo ancora oggi passa il convento del meglio escogitato dall'uomo per amministrarsi.

Il Mediterraneo in rivolta: contro decenni di dittature ipocrite e parassitarie, contro una situazione sociale insostenibile, contro la delusione provocata dalla consapevolezza che terre ricchissime di risorse vengano spolpate da pochi avvoltoi famelici e contro un occidente che, dietro la bandiera ormai logora della guerra al terrorismo, ha coperto i crimini e gli abusi dei vari Ben Ali, Mubarack, Bouteflika, Saleh, Asad e Gheddafi che forti dell'appoggio in primis degli americani hanno potuto finora prosperare indisturbati ai danni di una popolazione affamata di cibo e progresso e che finalmente ha deciso di rompere gli argini del sottosviluppo in cui era stata costretta. Se si riascoltano i commenti dei leaders occidentali all'operato di uno qualsiasi dei signori sopraindicati, ci si accorge di quanto siano orrendamente falsi i valori che da ormai un decennio informano l'epica lotta al terrorismo. In queste ore certamente la loro apprensione è tutta rivolta su ciò che accadrà una volta defenestrati i loro alfieri del laicismo arabo. Certo, messo da parte Mubarak c'è una buona possibilità che l'Egitto, il più grande e importante paese arabo, sede della più influente università islamica e del primo partito politico d'ispirazione musulmana, cada nelle mani dei fondamentalisti. Ma se questo accadesse, a rimproverarsi per primi dovrebbero essere proprio i paesi che lungo tutti i trent'anni del suo regno hanno permesso al faraone egiziano di mantenere nella povertà e nell'ignoranza gran parte della popolazione e di reprimere senza nessun freno ogni accenno di opposizione o cambiamento, creando così il brodo di cultura ideale per l'espansione del virus del radicalismo islamico, che poi non è altro che il virus del risentimento estremo verso una parte di mondo che gode di privilegi a loro negati. E la prova di questo è data dalla Tunisia, il paese che ha fatto da apripista a tutte le rivendicazioni di questi giorni: nel paese dove solo pochi giorni fà regnava Ben Ali, nonostante tutto c'è un alto tasso di scolarizzazione, un buon numero di laureati e dunque una massa non indifferente di persone che sanno ragionare con la propria testa e che finora non hanno permesso a nessun partito e a nessun movimento religioso di mettere il cappello alla loro rivoluzione. Perchè istruzione non vuol dire sempre perdita della propria cultura tradizionale o occidentalizzazione.

Un movimento spontaneo e consapevole come quello che, eccezzionalmente in contemporanea, sta chiedendo più diritti e più benessere in tutti i paesi del nord Africa è un qualcosa di nuovo e meraviglioso. Proprio come quando in Europa nel 1848 sembrava che tutto potesse accadere e la gente scendeva per le strade di gran parte delle capitali del vecchio continente per chiedere quel cambiamento che per molti paesi, purtroppo, avvenne solo molti decenni dopo. Oggi però le informazioni corrono veloci sulla rete, e quella a cui stiamo assistendo è la prima chiamata alla protesta internazionale quasin esclusivamente avvenuta su internet. E' più difficile per chi detiene il potere controllare una rete così estesa di contatti rispetto a pochi giornali e tv. Potere della modernità, e del lato buono della rete. Su Twitter e altri social network si ammassano i commenti e gli appelli a non mollare di semplici cittadini e intellettuali, si fanno usvcire immagini e notizie sul comportamento della polizia nelle manifestazioni, si danno appuntamenti sul prossimo assembramento che poi diventerà un nuovo corteo. Una vera e propria dimostrazione di come spesso i governati siano ben più avanti dei propri governanti che non riescono in nessun modo a sedare la protesta. Spero che tutto ciò continui, se non alro per spronare coloro che governano i paesi in questione a fare concessioni sempre più alte e per arrivare al più presto ad una forma di governo non dispotico e partecipato.

E come non paragonare, o meglio, mettere in relazione ciò che sta accadendo per le strade di Tunisi, Algeri, il Cairo, Beirut, Tripoli, Damasco e San'a con gli avvenimenti che in autunno hanno riempito le piazze delle più grandi città europee come Londra, Parigi, Roma e Atene. Da una parte si lotta per la vita e per iniziare a contare, mentre dall'altra si lotta per contare di più, ma dall'alto al basso Mediterraneo fino ad arrivare al mare del nord la vampa è ben viva e rischia finalmente di incendiare le coscenze del nuovo millennio, purtroppo iniziato con l'11 settembre e la lotta al terrorismo.