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domenica 26 aprile 2009

sabato 25 aprile 2009

Odio sociale


Uno spettro s’aggira per l’Europa; lo spettro del rinato odio sociale. Proprio così, la rabbia che nel vecchio continente sembrava ormai morta e sepolta, sotto la crescita senza confini della ricchezza procapite e il benessere diffuso offerto dal sistema capitalistico di mercato, è prepotentemente tornata a far parlare di se. Non Italia, almeno per ora, ma in Francia, Inghilterra, Germania e altri paesi europei, compresi quelli della nuova Europa dell'est, una nuova ondata di frustrazione, risentimento e infine rabbia ha riempito negli ultimi mesi pagine e pagine di giornali. Manager rapiti dagli impiegati in odore di licenziamento, operai che impediscono lo sbarco di colleghi provenienti da altri paesi, banche assaltate e tanti altri casi di azioni spontanee e poco ponderate. Ma perchè tutto questo? Non ci avevano promesso che se avessimo fatto i bravi, lasciando la gestione dell'economia alle banche e ai finanzieri, e non allo stato, e soprattutto se avessimo continuato a consumare, auspicabilmente di più dello stretto necessario, insomma non ci avevano promesso che fatto tutto questo ci sarebbe stata, per sempre, "pace in terra agli uomini di buona volontà"? Cos'è successo, allora?


Il problema fondamentale del nostro sistema, che ha generato risentimento e dato luogo ai casi prima citati, non è certo quello della creazione di ricchezza. Di ricchezza, negli ultimi vent'anni, ne è stata prodotta molto di più di quella che già esisteva, sia per quanto riguarda l'economia reale, e dunque la produzione materiale di prodotti, che nel campo finanziario, che è poi quello che ha progredito maggiormente. Il problema risiede, come anche in passato, nella ridistribuzione di questa enorme ricchezza prodotta, con la differenza che oggi è all'interno dell'avanzamento economico dei paesi che si è creata disparità, cioè tra quelli che insieme ne hanno beneficiato. In passato vi erano gli esclusi, classi economiche che non erano invitate alla spartizione della torta, ma che come oggi concorrevano a produrla. Oggi al tavolo sono stati invitati tutti, anche perchè le lotte politiche e di classe fatte in passato, non hanno lasciato scampo ai veri dentori della ricchezza, ma questi hanno escogitato un modo ancora più subdolo di incantare le classi subalterne: facendo credere a chi fino all'altro ieri non aveva assolutamente nulla, di aver acquisito una posizione nella società. In sostanza la gente ha rinunciato a combattere, a organizzarsi politicamente al fine di migliorare davvero le proprie condizioni, in cambio, non di un reale ruolo nel processo decisionale-produttivo, ma di un aumentato potere d'acquisto, e cioè della possibilità d'accesso a un numero maggiore, e a una maggiore qualità, di beni di consumo. La crisi, però, ha tolto la maschera a questo bluff e ha riproposto come una valanga tutti i problemi e le contraddizioni, che erano state soltanto spinte sotto il tappeto. Insomma, ci hanno fregato, e ciò che più mi rode e che hanno usato le persone come polli in batteria, facendoli ingrassare, consumare, acquistare cose inutili e alla fine togliendogli tutto, dicendo: ci dispiace ma siamo in crisi. La colpa non è nostra, ma degli americani che non pagano il mutuo. Che cazzate.


Ora, riacquistata la consapevolezza di quello che ci circonda, il vero problema è rappresentato da come canalizzare la rabbia, come organizzare una risposta politica. Perchè le azioni nei confronti delle banche e i sequestri di manager visti in questi mesi, sono il sintomo di una furia cieca e incontrollata, e di una totale assenza di un offerta politica adeguata, quantunque le proteste sono, a mio avviso, molto trasversali e interessano persone di diverso credo politico, o senza nessuna posizione politica predefinita . Non c'è un partito che, non con lo 0,2 per cento, offre una critica seria e plausibile della società in cui viviamo. Non vi è più un pensiero critico, il tutto si è appecoronato all'esistente. Gli unici appunti mossi al sistema rimangono comunque confinati nel recinto, delimitati dallo stesso sistema. La paura di perdere le effimere comodità acquisite, il terrore dell'ignoto non ci permettono più di immaginare un mondo diverso. Bisogna fare qualcosa, ma soprattutto bisogna riniziare a chiedersi il perchè delle cose. Mi sembra una buona base di partenza.

venerdì 24 aprile 2009

Riaperta l'inchiesta sull'attentato al giudice Borsellino. Dopo le dichiarazioni di Genchi, nuove versioni dei pentiti


Sembrava un'inchiesta conclusa, anche per la cassazione, quella sull'attentato di via D'amelio a Palermo del 19 luglio 1992. In quel maledetto giorno persero la vita, in una strage da tutti presentita e annunciata, il giudice Paolo Borsellino e i cinque uomini della sua scorta. Dopo svariati processi e altrettanti gradi di giudizio, che avevano portato a una, seppur da molti contestata, verità giudiziaria, la sentenza che condannava definitivamente Vincenzo Scarantino e Salvatore Caldura sembrerebbe, dalle ultime rivelazioni, essersi avviata verso un sostanziale ribaltamento. L'inchiesta sull'attuazione della strage, e quella sui mandanti occulti è stata riaperta dalla procura di Caltanissetta, quella di competenza, in seguito alle rivelazioni del nuovo pentito Salvatore Spatuzza, molto ascoltato dai pm nisseni, e alle dichiarazioni di Gioacchino Genchi. Spatuzza si è autoaccusato del furto della ben nota Fiat 126, che secondo le indagini è stata usata come autobomba nella strage, mentre Genchi sostiene che il telecomando utilizzato per far brillare la carica è stato azionato dall'alto del Monte Pellegrino, dove ci sarebbe stata una sede dei servizi segreti italiani. Nel confronto tra Spatuzza e Caldura quest'ultimo ha negato di aver rubato la 126, sovvertendo le sue iniziali rivelazioni, e ha dato ragione a Spatuzza sulla completa estraneità di Aglieri, e gli altri boss di Santa Maria di Gesù, alla strage, Scarantino invece mantiene la sua iniziale confessione sulla partecipazione all'attentato. Inoltre nuovi pentiti asseriscono che la 126 non è il luogo in cui era stato posizionato l'esplosivo, e che invece la carica era stata messa all'interno di un bidone abbandonato, anche se ancora non si fanno ipotesi su chi sia stato a posizionarla. Insomma, ciò che conta è che tutte queste nuove rivelazioni stravolgono completamente l'attuazione, finora ricostruita, della strage, e la procura di Caltanissetta sta indagando per autocalunnia su Caldura e Scarantino. Resta il fatto che, quantunque le novità siano accertate , finora le indagini e i processi si sono concentrati solo sulla realizzazione materiale dell'infame attentato, mentre sui mandanti ancora non si è assolutamente fatta chiarezza. Rimangono ancora da scoprire le innumerevoli connessioni tra servizi segreti, potere politico e malavita organizzata, e bisogna dare una risposta agli interrogativi sul perchè si sia lasciato un così basso livello di sicurezza su un uomo più volte minacciato di morte, e sul quale, ormai chiaramente, la mafia aveva emesso la sua sentenza.

martedì 21 aprile 2009

Evviva l'Italia


Raccontare le storie di disperazione, paura e angoscia di coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la tragedia del terremoto. Stimolare i ricordi più dolorosi per indurre l'intervistato alla commozione. Prediligere, appunto, non le testimonianze di caparbietà e rivalsa di fronte all'imponderabile, ma quelle di angoscia per il futuro. Sono questi i punti cardine del modus operandi adottato da gran parte dei media italiani per raccontare il terremoto in Abruzzo. Centinaia di giornalisti arrapati alla ricerca di ciò che visibilmente commuove e tocca lo spettatore. Non una ricerca del perchè, e del come le cose siano avvenute. L'apologia del paese che non si arrende passa per centinaia e centinaia di dichiarazioni e interviste, strappate a persone con ancora addosso i segni freschi della tragedia. Purtroppo è questo un copione ben definito che si ripropone ogni qual volta è possibile giocare sulle emozioni di chi guarda la tv o legge un giornale. Non c'è nulla di male nel voler mostrare, attraverso i racconti della gente, lo spaccato di una realtà tragica, ma inflazionando quest'aspetto si corre il comprovato rischio di tralasciare tutto il resto. A costo di essere brutale alcune cose bisogna dirle. Da cittadino italiano che ha a cuore le sorti del suo paese, e che ha voglia di sapere cosa succede per interagire e tentare di migliorare lo stato delle cose, mi chiedo: ma che mi frega di sapere di centinaia di racconti di fughe da edifici che stanno crollando, di altrettante storie di persone che hanno perso tutto, che non sanno dove andare, che fare, se poi nessuno mi spiega dietro a tutto questo cosa c'è? Per fare in modo che determinate cose non si ripetino, e che finalmente in questo paese si rispettino realmente le persone, a monte delle tragedie, non solo dopo che i fatti sono inevitabilmente avvenuti e il politico di turno si presta piangente all'obbiettivo delle telecamere, abbiamo bisogno di ben altro rispetto al profluvio di storie strappalacrime ascoltate in queste due settimane. Quanto spazio hanno avuto in tv o sui giornali, fatte le dovute eccezioni, la descrizione delle dinamiche che hanno portato al crollo di edifici strategici come la questura, la prefettura o l'ospedale? E ancora, quanto spazio ha avuto la notizia che in pratica si stavano distruggendo le prove più importanti per l'accertamento delle responsabilità? Per me poco. In pratica L'Aquila e le zone circostanti sono diventate il palcoscenico sulla quale è andata in scena la bontà, il coraggio e la solidarietà di un intera nazione, e non, come sarebbe più ovvio e giusto, il dramma della inefficienza e dello sprezzo per la vita umana, intesi come malaffare nel campo edile e carenze sul piano della sicurezza antisismica degli edifici. Ma purtroppo questi discorsi sono d'intralcio alla ricostruzione, perchè in questo momento bisogna essere uniti per poter poi un domani commettere di nuovo gli stessi errori, in barba a tutte le povere vittime, vive o morte, di questo terremoto. L'Italia è così, l'amore per se stessa vien fuori nelle tragedie, e forse solo nei drammi si può vedere un po' di spirito nazionale. Se qualcuno si mette in testa di cercare la verità su una regione come l'Abruzzo, nella quale si è costruito dove non si poteva, dove al posto di materiali e tecniche adatte si è cercato di risparmiare, per lucrare come porci sui cadaveri che queste scelte hanno portato, se si cerca di capire perchè una regione che l'Ingv (istituto di geofisica e vulcanologia italiano) ha dichiarato a rischio simico uno, poi magicamente viene declassata al secondo livello, con tutto ciò che questo concerne in materia di edilizia, si è bollati come afflitti da paranoie varie e amanti dei complotti.La verità su questa situazione sta purtroppo in una constatazione dura e che non ammette repliche: nel nostro paese non è importante scoprire dove e come le cose non vanno, non è importante perchè seppure venissero accertate responsabilità e scoperti i modi sbagliati di fare le cose, chiuse le bare si continuerebbe a fare come sempre, senza rispetto. Allora volemose bene, evviva l'Italia.

lunedì 20 aprile 2009

Terremoto in Abruzzo: il lavoro dell'informazione

Sono ormai passate due settimane dalla notte infernale che sconvolse l'Abruzzo. Questo tempo è servito per seppellire le numerose vittime, metabolizzare, per quanto possibile, la nuova condizione di vita in cui la popolazione si trova, fare una prima stima dei danni e iniziare a porsi delle domande sul perchè e sul come un terremoto d'intensità non elevatissima ha potuto creare un tale sfacelo. Domande leggittime, necessarie, appropriate, ma che non incontrano il favore di tutti. Una buona fetta della maggioranza di governo, con il premier in testa, è convinta che la ricerca di eventuali responsabilità e illeicità, tutte comunque da provare, nella costruzione degli edifici o nella gestione della prevenzione sia di intralcio alla ricostruzione post-sisma. La politica del "fare" contrapposta al mondo delle chiacchiere, con il mito del "fare" splendidamente incarnato da Berlusconi. Per il cavaliere non è ancora il momento, oltre che scavare tra le macerie, di scavare anche nel passato della politica edilizia aquilana che, a prima vista, non sembra davvero essere stata irreprensibile. Per fortuna in giro c'è gente convinta della possibilità di poter fare più cose contemporaneamente. E poi si sa, Berlusconi non ha mai amato il lavoro svolto dalla magistratura e dai giornalisti che producono inchieste, specialmente quando questi vanno a ficcare il naso nei suoi affari. Comunque delle chiarificazioni su alcuni punti ancora oscuri sembrano essere proprio necessari. Tanto più che in questi giorni nel capoluogo abruzzese sono successe cose alquanto strane, proprio attorno alle macerie degli edifici in odore di malaffare. La procura dell'Aquila ha dovuto porre sotto sequestro i calcinacci della casa dello studente, della prefettura e dell'ospedale per evitare che si perdessero delle prove determinanti, dato che la rimozione dei detriti, e la loro distruzione, avanzava repentinamente proprio in questi siti. Il perchè si sia scelto di iniziare a ripulire la città proprio dai luoghi sulla quale i pm stavano indagando non ci è dato sapere. E i giornalisti che in questi giorni hanno cercato di scoprire qualcosa, avvicinandosi alle macerie per vedere cosa stava succedendo, si sono visti sbarrare la strada da un cordone impenetrabile di forze dell'ordine, neanche si trovassero a Fort Knox. Strano vero? La denuncia di quello che stava avvenendo è partita proprio da alcuni giornalisti del quotidiano Terra, che non si sono limitati alle conferenze stampa e alle dichiarazioni ufficiali dei politici, ma hanno deciso di voler fare il loro mestiere per poter informare i loro lettori. Niente di speciale se non fossimo in Italia e la nostra stampa non fosse ridotta lei a un cumulo di macerie. Il lavoro dei giornalisti, in relazione al sisma, non può vertere soltanto sulle pur importanti storie dei sopravvissuti, o sulla situazione nelle tendopoli. E' fondamentale non far dimenticare al grande pubblico in che condizioni versano i nostri connazionali abruzzesi, ma altrettanto importante è capire se si poteva, e se si potrà evitare nuovamente il ripetersi di alcune situazioni, tipiche della nostra penisola. La magistratura e la stampa in questo sono alleati. L'informazione pesa come un macigno sulla coscienza civile di una nazione e rappresenta sia la memoria a breve termine che quella a lungo termine di un popolo. Dunque il cavaliere si metta l'animo in pace, i rompicoglioni ci saranno sempre. Anche in un paese addormentato come il nostro.

domenica 5 aprile 2009

Come era prevedibile il G20 non avrà effetti concreti sulle sorti dell'economia mondiale. Le trattative, allargate a 12 paesi emergenti tra cui la Cina, hanno però evidenziato una realtà da cui difficilmente si potrà tornare indietro. Il G8 classico non ha più senso di esistere. Dunque più che un valore pratico, il vertice ha e avrà un forte valore simbolico per il futuro della governance dell'economia mondiale. Era ormai chiaro, anche prima della crisi economica, che decisioni realmente incisive sui problemi economici del mondo non potevano escludere il colosso cinese e gli altri paesei emergenti, tra cui India e Brasile, diventati i produttori di gran parte delle merci .

sabato 4 aprile 2009

E' tornato il clown di Arcore



Con questa foto Silvio Berlusconi, noto animatore di meeting internazionali, sostiene di aver riavvicinato Stati Uniti e Russia. Infatti il clown di Arcore dice di essere stato bravo a cogliere l'occasione della foto informale per sdrammatizzare l'aria tesa che intercorreva tra i leaders dei due paesi, Obama e Medvedev, che in seguito si sono seduti più rilassati e sereni al tavolo delle trattative. Ancora una volta la lungimiranza e le notevoli doti diplomatiche del nostro (sic!) presidente del consiglio hanno portato beneficio a milioni di persone in tutto il mondo. Per favore, qualcuno dica al nano che non conta un cazzo e che rimanga seduto al suo posto, almeno ci risparmia qualche figuaraccia.

Berlusconi abusivo

A quanto pare il concetto che vede Silvio Berlusconi occupare illeggittimamente la carica di presidente del consiglio è in forte recessione. In tv, sui giornali o al bar non interessa più a nessuno parlare dell'enorme conflitto di interessi incarnati dall'uomo di Arcore.

Berlusconi abusivo

Sostenere
Roma non finirà mai di farmi incazzare e allo stesso tempo di stupirmi. La città eterna è da sempre luogo di contraddizioni, diventate peculiari della cultura e della quotidianità della metropoli. E una caratteristica forte della nostra capitale è il suo tenace attaccamento alla tradizione, alla parlata dialettale e al suo provincialismo esasperato, che convivono accanto alla dimensione più moderna e multiculturale propria delle grandi città occidentali, in un perfetto sincretismo. Da questo punto di vista non v'è nessuna città come Roma. I tanti quartieri che compongono il frastagliato tessuto urbano possono essere comparati ad altrettanti paeselli caratterizzati da una vita propria. Nei rioni come Centocelle, Esquilino, Quadraro, Pigneto si custodisce e tramanda questa peculiarità, che è alla base del fatto che vi voglio raccontare. I riti che compongono le celebrazioni pasquali sono molto comuni nella nostra penisola, così ancorata alla sua radice cattolico-cristiana. Ma vedere nel bel mezzo di una metropoli come Roma una processione del venerdì santo mi è parso strano e curioso. Io vengo da un piccolo paese del sud, dove processioni, via crucis e altri riti del calendario

giovedì 2 aprile 2009

Agli eroi e ai comuni mortali dell'antimafia

Nella copertina di oggi ho voluto, nel mio piccolo, rendere omaggio a due eroi del nostro paese: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, assassinati dall'infamia mafiosa e dalla codardia delle istituzioni. Eroi loro malgrado, questi due uomini hanno sempre e solo chiesto allo stato, ai loro colleghi e alla gente comune, di poter fare al meglio il loro lavoro di magistrati. Un lavoro che purtroppo in Italia diventa una missione e in alcuni casi una croce. Nella foto mancano le altre centinaia di persone che ogni giorno e con umiltà tentano di rendere migliore la qualità della vita anche a persone troppo spesso disattente o ignave. Il problema delle mafie nel nostro paese è un problema grosso. Nessuno può dirsi completamente al sicuro, per appartenenza territoriale o sociale, dai codardi che in ogni modo cercano di deturpare le normali regole della convivenza civile, sostituendo a queste il becero sistema della paura e del ricatto. Troppe volte abbiamo sentito: "io vivo al nord queste cose non mi interessano" oppure "queste cose succedono nei ghetti, non nel mio quartiere". Niente di più sbagliato. Perchè anche se il pizzo o le discariche abusive, che distruggono il nostro ambiente, non ci riguardano in prima persona, è dovere di ogni uomo libero preservare la libertà dei suoi simili. Un giorno le catene del malaffare potrebbero legare i nostri polsi e non può essere compito di pochi arditi illuminati provare a liberarci. C'è bisogno di legalità, di trasparenza e di quotidiana civiltà, oltre che di benessere economico, anche e soprattutto per non generare il brodo di coltura dentro alla quale il fenomeno mafioso si riproduce. Non abbandoniamo quei "poveri coglioni" che predicano nel deserto della coscienza civica di questo paese. Serriamo le fila e un giorno potremo guardare in faccia i nostri figli. Avremo fatto la cosa giusta.

mercoledì 1 aprile 2009

Federico II di Svevia: "stupor mundi"


Paragonabile solo a Carlo Magno, Federico II di Svevia fu il più grande regnante dell'epoca medievale. Una figura evocativa, per le cose realizzate e per le tante riforme portate avanti in un mondo poco avvezzo ai cambiamenti, e un esempio di integrazione, grazie alla sua passione per il mondo arabo e alla tolleranza dei culti non cristiani.

martedì 31 marzo 2009

lunedì 30 marzo 2009

Piano casa 2

In un post di qualche giorno fa ho affrontato la questione del piano casa proposto dal governo Berlusconi. Oggi vorrei ampliare il discorso o perlomeno rendere più chiara la mia posizione. Innanzitutto ribadisco la mia perplessità per quanto riguarda l'assenza totale di un programma di sussidio, assistenza e agevolazioni a coloro che non hanno la possibilità di prendere in affitto una casa e tantomeno di acquistarla. Nè dal governo, nè dall'opposizione sono arrivate proposte per attivare un programma su larga scala di edilizia popolare. In un periodo di stagnazione economica, come quello che stiamo vivendo, non avrebbe un effetto benefico sull'industria edile e in termini occupazionali un intervento diretto dello stato? Lo so è un discorso Keinesiano, ma la mia idea, che poi è quella di molti da tanti anni, non va nel senso di un ritorno allo stato imprenditore, lungi da me. Abbiamo già visto quali danni e storture può provocare uno stato, nello specifico quello italiano, proprietario diretto di attività produttive, e poi indietro non si torna. No, il mio è un discorso di più stretta necessità: quella di agevolare le fasce più povere della popolazione. Badate bene, il mio non è un atteggiamento buonista, ma di buon senso. Per prima cosa nessuno chiede allo stato di costruire case e regalarle, ma di dare la possibilità a chi ne riceverà una di riscattarla poco alla volta. In secondo luogo un'emergenza sociale che ha come base l'assenza di un abitazione è molto più grave e pericolosa di una crisi economica, che frena i consumi ma permette comunque alle persone di continuare a vivere, in attesa di tempi migliori. Ripeto, senza una casa non si può aspettare che passi "a nuttat", dato che tutti gli sforzi, di una persona o di una famiglia, andranno vanificati dal pagamento di affitti scandalosi.


Nello specifico del "piano casa" proposto dal governo, il mio giudizio, quantunque il progetto non sia ancora del tutto chiaro, non è pregiudizialmente negativo. Se gli interventi di ampliamento o di ricostruzione non andranno a divorare altro terreno libero, come sembra che sia, il piano può essere di stimolo all'economia, e magari con adeguati progetti si potrebbe avere anche un miglioramento di alcune realtà abitative attualmente obbrobriose. Oltre all'aspetto meramente estetico, una particolare attenzione deve essere rivolta al calcolo della stabilità degli edifici che subiranno modifiche. Anche se in merito all'efficienza degli studi di stabilità negli ultimi anni le cose sono migliorate, con la responsabilizzazione di architetti, ingegneri e geometri, che rispondono personalmente di eventuali crolli e quant'altro, non bisogna dimenticare che noi siamo il paese delle scuole, delle case e degli edifici pubblici che crollano senza un motivo. E l'attenzione non è mai troppa quando ne va della vita delle persone (io sono molisano , e a San Giuliano di Puglia abbiamo avuto un assaggio di come modificare senza criterio una struttura può essere letale). Ancora sulla tutela ambientale, intoccabili devono essere i vincoli territoriali, per non far diventare una buona proposta il prologo di una deregulation dell'attività edilizia nel nostro paese. Le forze dell'ordine, nonostante oggigiorno il nostro territorio sia estremamente protetto da leggi e vincoli vari, non fanno in tempo a scoprire un abuso edilizio e a intraprendere le adeguate procedure di intervento, che altrove spuntano altri abusi al bene comune: l'ambiente. In sostanza non mi fido degli italiani e tantomeno, come ho già scritto nell'altro post, del loro buon gusto. Nessun paese ha avuto tanta grazia e al tempo stesso è stato amministrato con tanto cinismo e completa assenza di lungimiranza in materia di politiche ambientali, come l'Italia. Senza dimenticare che le colpe più gravi dello scempio ambientale, particolarmente intenso in alcune regioni, ricadono sulle spalle dei cittadini.

domenica 15 marzo 2009

Usa. Obama: via libera ai finanziamenti federali per la ricerca sulle staminali



Barack Obama, neopresidente degli Stati Uniti d'America, ha finalmente iniziato a demolire l'operato del suo predecessore George W. Bush. E la prima picconata è arrivata su uno dei temi più sensibli dal punto di vista etico: le restrizioni ai finanziamenti federali per la ricerca sulle cellule staminali. "L'America guiderà il mondo verso le scoperte che questo tipo di ricerca potrà un giorno offrire": sono state queste le parole scelte da Obama per suggellare la sua decisione. Musica per le orecchie di tutti coloro che, affetti da patologie attualmente incurabili, vedono in questo tipo di ricerca una speranza di guarigione. Invero Bush, con la legge emanata nel 2001, non aveva vietato l'uso delle staminali a scopo di ricerca, ma con la preclusione dei finanziamenti federali aveva difatto bloccato la sperimentazione, che da quel momento aveva potuto contare soltanto sulle limitate risorse dei singoli stati federeali, in particolare la California. Fondamentale è che uno degli stati più all'avanguardia nel campo delle sperimentazioni mediche, e con disponibilità economiche precluse ad altri paesei più piccoli, si faccia portabandiera di questo tipo di studi. Naturalmente bisogna stare ben accorti a non cadere in facili trionfalismi e false speranze di cure per ogni genere di male. Le ricerche sulle staminali sono solo agli inizi e per adesso le percentuali di riuscita sono ancora basse.


La decisione di Obama ha scatenato le polemiche dell'ala cattolica più conservatrice e delle autorità ecclesiastiche: " una triste vittoria della politica sulla scienza e l' etica", ha dichiarato il cardinale di Filadelfia, Justin Rigali, presidente del comitato "Pro Life" dei vescovi Usa. Per la chiesa cattolica gli embrioni sono del tutto equiparati ad un essere umano, con tutto ciò che ne deriva in fatto di diritto alla vita. Al tema delle staminali l' Osservatore Romano ha dedicato un lungo e polemico articolo, in cui si ricorda la posizione presa dalla Conferenza episcopale Usa nell' assemblea plenaria di Orlando in primavera: "Sembra innegabile - avevano scritto i vescovi - che una volta oltrepassata la fondamentale linea morale che ci impedisce di trattare gli esseri umani come meri oggetti di ricerca, non ci sarà più un punto di arresto». L' organo di stampa del Vaticano ribadisce che la ricerca sulle staminali embrionali è "profondamente immorale e superflua, in considerazione dei recenti sviluppi delle ricerche scientifiche".


E' proprio sulla sottile linea di demarcazione che scevera la vita compiuta di un essere umano, dotato di cervello e di un corpo ben riconoscibile, da quella di un embrione, che non ha ancora un cervello e un corpo, che si è combattuta la cruenta battaglia tra sostenitori e avversari della ricerca sulle staminali। Su questo tema la varie parti si sono profuse in un diluvio di demagogia, con il risultato che spesso il merito della questione, la cura dei malati, ha ceduto il passo alle questioni teologiche e di principio, anche e soprattutto in Italia. Nel nostro paese ,qualche anno fa, è stato addirittura indetto un referendum, nel quale i cittadini sono stati chiamati ad esprimere la loro posizione sull'opportunità di intraprendere ricerche sulle staminali. Vinse il fronte del no, guidato direttamente dall'establishment cattolico, alla quale diede voce in sede di dibattito parlamentare, per questioni di mero opportunismo politico, lo schieramento di destra. In particolare la destra radical chic, facente capo al giornale Il Foglio e al suo direttore, Giuliano Ferrara, fece della questione il proprio cavallo di battaglia.



L'intera campagna referendaria sulle staminali in Italia è stata inficiata da una sostanziale disinformazione in merito alla questione. I cittadini sono stati chiamati a scegliere su un argomento di grande contenuto etico, ma che allo stesso tempo esigeva un estrema consapevolezza scientifica, difficilmente proponibile ad un pubblico non avvezzo alla materia. L'informazione prodotta sulla questione, invece, ha eluso l'ambito prettamente scientifico e tecnico, e si è concentrata solo sulla speculazione filosofica ed etica. Ancora oggi sono pochi gli italiani che, se interpellati sul tema, sono in grado di dare una risposta sensata. Su determinate materie, come questa, non può che essere il parlamento l'unico preposto alla scelta. Altrimenti a cosa serve?



In tutto ciò è difficile non sottolineare la grande incoerenza che alberga nella posizione di alcuni dei più ferventi "paladini della vita". Come appunto il governo attualmente in carica, che sul caso Englaro ha dato prova di un enorme distacco da quello che viene chiamato "senso delle istituzioni", o come l'ideologo del partito contro l'aborto, Giuliano Ferrara. Questi grandi umanisti e difensori del genere umano si sentono toccati, scioccati dalla morte di migliaia di embrioni per i quali darebbero la vita, ma ne ora ne in passato si sono fatti scrupoli ad appoggiare guerre e invasioni. Certo, nel nome dell'occidente e contro quei satanassi di musulmani, ma nelle quali sono morte centinaia di migliaia di persone. Una domanda: sono vite anche quelle, o devo dire "erano" vite anche quelle? Chissà cosa dice la loro grande cultura umanistica in proposito. Attendo con ansia che qualcuno mi dia una risposta. C'è qualcosa che non mi è chiaro.

martedì 10 marzo 2009

La miopia della giustizia internazionale e la tragedia del Darfur.


Il tribunale penale internazionale dell Aja ha spiccato un mandato di cattura nei confronti di Omar Hassan al-Bashir, presidente del Sudan. Dal 2003 nel paese subsahariano imperversa un cruento conflitto che vede contrapposti i Janjawid, nomadi di etnia Baggara (miliziani islamici a cavalllo), a le altre tribù di etnia non Baggara dedite all'agricoltura. La guerra, che ben presto si è tramutata in un'emergenza umanitaria, ha fatto registrare finora circa 400.000 vittime, per lo più morti per fame, sete e malattie. La leggittimità del provvedimento, nato da una richiesta del procuratore Luis Moreno-Ocampo, non è in discussione. Bashir neanche troppo velatamente ha sempre appoggiato i Janjawid, che nel corso degli anni, e proprio grazie all'appoggio governativo, hanno perpetrato un orrendo genocidio della popolazione non Baggara.


In discussione è l'utilità di un simile provvedimento. Come si è già potuto sperimentare in altri casi simili, i despoti, colpiti da questi mandati internazionali, non vengono quasi mai perseguiti finchè sono al potere. L'unico riscontro pratico si è avuto nella decisione di Bashir di espellere tutte le organizzazioni umanitarie presenti nel paese, le uniche dedite alla cura di coloro che fuggono dal conflitto, stipati in condizioni inumane nei campi profughi. A questo punto una domanda sorge spontanea e prepotente: chi fornirà loro il cibo, l'acqua e le pur scarse medicine, necessarie alla sopravvivenza? Il procuratore Ocampo? Credo di no.


Una soluzione a questa immane tragedia va trovata! Ma non può che essere una soluzione politica, e non giudiziaria. Perchè il problema, anche se vede dei risvolti importanti in questioni etnico-religiose, è eminentemente politico. Questa lettura ha acquisito ancora più pregnanza da quando nella regione, ricca di materie prime, è entrata con veemenza la Cina. E proprio la Cina, insieme all'Unione Africana, ha condannato fermamente il mandato di cattura. Se in passato un intervento militare, o una forte azione diplomatica statunitense erano opzioni praticabili, con la situazione attuale è impensabile di voler risolvere la questione senza coinvolgere la Cina. Il colosso asiatico, ormai da anni, non segue più una linea ideologizzata in politica estera, e proprio alla pragmaticità della Cina e alla sua capacità di fare affari si deve aggrappare la comunità internazionale, che non potrà però esimersi dall'offrire qualcosa.


Purtroppo attualmente l'unico paese che ha il peso politico necessario per intavolare una trattativa con la Cina, gli Stati Uniti, sono alle prese con una crisi economica che assorbe totalmente l'azione del neopresidente Obama. In queste condizioni, inevitabilmente, la guerra del Darfur torna a viaggiare sottotraccia. Lo si vede anche dai giornali, quelli italiani in testa, che dedicano alla questione poco più che un trafiletto nelle pagine interne. Ma da Obama, di origini africane e dunque sensibile alle questioni della sua terra di origine, ci si aspetta qualcosa, l'Africa si aspetta qualcosa. Fondamentale è non spegnere i riflettori su questa regione che rischia di diventare la nuova faglia di divisione tra occidente e islam. Molti osservatori e intellettuali infatti sostengono che gli accadimenti di questi anni nell'africa subsahariana, sono paragonabili alle vicende che sconvolsero il medioriente nella metà del secolo scorso. E' importante dare visibilità alla tragedia che gli esseri umani del Darfur stanno vivendo. Non vi possono essere eccidi di serie a e altri di serie. Ogni genocidio è un onta per il genere umano tutto.



sabato 7 marzo 2009

La fantastica gufata di Mourinho


Josè Mario dos Santos Mourinho. Comunemente conosciuto come Josè Mourinho: "The SpecialOne". Si, perchè il mago di Setubal è un tipo davvero speciale. Lo ha dimostrato ancora in questi giorni, quando ha deciso di strigliare il sonnacchioso e formale mondo del calcio. Non che non lo avesse già fatto, nei mesi passati bastava che aprisse bocca, che si trovasse un microfono davanti ed erano dolori per i suoi avversari. Questa volta però si è preso una bella responsabilità. Lasciamo stare le feroci polemiche del dopopartita con la Roma. Rigore, non rigore, buona prestazione e quant'altro. Nell'ultima infuocata conferenza stampa "Mou" ha fatto una cosa assolutamente vietata nel mondo del calcio, almeno a livello formale. Ha gufato su tutti i suoi avversari più prossimi. "Zero titoli a Roma, zero titoli a Juve, zero titoli a Milan". Sono state queste le sue parole, e bastava guardare le facce dei giornalisti presenti nella sala stampa per rendersi subito conto dell'imprevedibilità dell'esternazione. Naturalmente i commenti degli allenatori delle squadre in questione sono stati di condanna. Ma l'allenatore dell'Inter è la persona che più assomiglia a un Caterpillar. Spiana senzà guardarsi indietro, e non tiene conto dell'opinione dei suoi nemici. E di nemici "Mou" ne ha molti, e tutti vorrebbero vederlo col grugno nella polvere. Ma è proprio nella sua fantastica capacità di tirarsi dietro gli improperi di chi non lo stima che risiede la sua rivoluzione. Mourinho è un uomo che vive d'intensità e se il mondo che lo circonda non è "spinto" non può dispiegare tutta la sua potenza comunicativa. Il gusto per la provocazione, per la rivalità non banale, per l'anticavallerismo fa parte del suo mestiere d'allenatore, tanto quanto la rifinitura del sabato. Il mondo del calcio italiano, tranne che nel suo periodo d'oro, gli anni di Sivori, Herrera e Rocco, ha sempre mantenuto una ben definita accortezza nei rapporti tra le squadre. La rivalità tra i grandi team del campionato è sempre stata accessa ma comunque informata ad un sostanziale "volemose bene". Mourinho ha riportato l'antagonisno ai livelli degli anni sessanta, quando i personaggi simbolo dei vari club spesso si odiavano. Purtroppo oggi bisogna stare attenti anche ai contraccolpi sulle curve. Le persone che vanno allo stadio sovente si lasciano influenzare negativamnete, e caricare troppo gli animi non è saggio. Ma almeno per quanto mi riguarda gli episodi peggiori degli ultimi anni non attendono agli stati d'animo dei protagonisti della pedata.
Ora lo SpecialOne deve soltanto vincere, campionato e champions. Solo così una parte minoritaria dell'Italia calcistica potrà godere fino al parossismo, mentre l'altra, ben più corposa, dovrà mangiarsi le mani fino ai polsi. Daje Mou, facci godere.