giovedì 28 ottobre 2010

Auguri Diego: Maradona compie 50 anni

Il più grande di sempre senza se e senza ma. Con tutte le sue contraddizioni. Emozionare con un pallone tra i piedi non è cosa da tutti.


lunedì 18 ottobre 2010

La centrale fantasma

di Rossella Anitori per Terra

COLLEFERRO. In pieno allarme ambientale, la Valle del Sacco ha detto sì a una nuova turbogas. Senza che i cittadini ne venissero a conoscenza, l’iter di approvazione del progetto è giunto a conclusione.

ll puzzle di Colleferro è completo. L’ultimo pezzo è una centrale turbogas, un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a metano che rilascia in atmosfera ossidi di azoto, monossidi di carbonio e particolato. Una tecnologia da più parti criticata per i rischi derivati dalle emissioni di polveri fini e ultrafini. A breve sorgerà in località Valle Secola, in direzione di Artena. A ridosso dell’abitato. A due chilometri dall’inceneritore, dai camini del cementificio e dal resto degli stabilimenti di un polo industriale che ha avvelenato la Valle del Sacco. Senza che i cittadini se ne accorgessero, l’iter di approv

azione della centrale è giunto a conclusione. «Non sapevamo nulla di quanto stesse avvenendo - dice Albero Valleriani, portavoce della Retuvasa, Rete per la tutela della Valle del Sacco - e ci siamo trovati a confronto con questa minaccia quando la partita era ormai stata giocata».

I cittadini denunciano il «silenzio delle istituzioni» a tutti i livelli: «Come possiamo intervenire sulle scelte che riguardano il futuro della nostra città se nessuno provvede a informarci?» si chiede Valleriani. Stando a quanto racconta la Rete, il Comune di Colleferro non avrebbe provveduto a pubblicare sul proprio sito l’avviso relativo al progetto in corso di approvazione e il comitato sarebbe venuto a conoscenza della questione quando il termine per intervenire era ormai scaduto. «La Secosvim spa, società poponente che già gestisce la fornitura di energia del comprensorio industriale ex Bpd - racconta Valleriani - avrebbe depositato gli elaborati di progetto presso il Comune il 20 febbraio del 2009. In piena emergenza ambientale. Solo un mese prima, il sindaco di Colleferro, Mario Cacciotti (eletto per il Centro-destra con una lista civica), aveva rassicurato i cittadini ribadendo che “non avrebbe mai dato il suo assenso” alla realizzazione della centrale turbogas».

La partita della turbogas si gioca quasi tutta nei mesi successivi all’ennesimo allarme ambientale e sanitario che ha scosso i residenti della Valle del Sacco. Sempre tra gennaio e febbraio del 2009, i risultati di uno studio sullo stato di salute delle popolazioni residenti, condotto dal Dipartimento di Epidemiologia della Asl Roma E, confermavano quelli che a lungo erano rimasti soltanto dei sospetti: il territorio presentava nel suo complesso un quadro di mortalità e morbosità peggiore del resto del Lazio, dovuto principalmente alla lunga attività del complesso industriale.

Come se non bastasse, a marzo la città scopre che l’impianto di incenerimento rifiuti viene gestito in maniera criminale: nei forni si brucia di tutto con gravi danni per l’ambiente e pesanti ripercussioni per la salute dei cittadini. Colleferro accusa il colpo, ma ancora non basta: dopo appena due mesi, infatti, parte l’iter autorizzativo per la realizzazione della centrale turbogas. Gli Enti chiamati ad esprimere il proprio parere sull’opera votano tutti per il sì e la pratica passa velocemente da un ufficio all’altro. L’impianto sostituirà quello attualmente in funzione nel comprensorio dell’Avio e fornirà energia anche per altri insediamenti industriali. A decretarne la definitiva approvazione è la Conferenza dei servizi dell’11 dicembre 2009. All’appello però, almeno dall’analisi del resoconto stenografico dell’incontro, mancano due importanti attori: la Asl locale e Arpa Lazio.

«Come si può rilasciare un’autorizzazione senza il parere di uno dei principali enti di controllo come l’Arpa», si chiede la Rete di tutela della Valle del Sacco. Aggiunge Valeriani «Perché l’amministrazione comunale di Colleferro non ha richiesto alla Asl di competenza (RmG) di riferire sull’impatto per salute dei cittadini?». Di fronte alle polemiche, la scorsa settimana il Sindaco ha riunito titolari del progetto e associazioni (con l’esclusione però del Comune di Artena, coinvolto a suo malgrado in questa vicenda per motivi di vicinanza geografica), decidendo la sospensione dei lavori per 7 giorni.

Su proposta di un consigliere comunale, Leone del Ferraro, è stato dato incarico al Cnr di giudicare l’opportunità dell’impianto tenendo conto del contesto. Ma, per le associazioni ambientaliste attive nel territorio non si tratta che di una magra consolazione: «Cercare di includere i cittadini nelle decisioni da assumere con l’autorizzazione già rilasciata, - scrivono in una nota - rappresenta tutto, tranne la restituzione del diritto leso». Ora, secondo i comitati, non resta molto da fare: «Due gli scenari possibili - dicono - o revocare l’autorizzazione pagando un risarcimento milionario a favore della società proponente, oppure tenere la borsa chiusa e scaricare il danno su ambiente e salute».

Ma Colleferro non ci sta. «Stiamo valutando con i nostri legali la possibilità - spiegano i Comitati - di sollecitare l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia da parte della Direzione generale Ambiente della Commissione europea, per l’avvio delle procedure autorizzative in palese violazione della direttiva 2003/04 ». La Rete si riferisce alla Convenzione di Aarhus che prevede il diritto alla partecipazione dei cittadini nelle scelte pubbliche in materia ambientale. Colleferro è finita in un vicolo cieco che poteva essere evitato. Secondo le associazioni, la realizzazione di impianti ad energia rinnovabile, avrebbe risolto i problemi di fabbisogno per le aree industriali, senza i problemi connessi alla costrizione di una centrale turbogas. «Essere epicentro di un’emergenza ambientale, aver inquinato acqua, aria e suolo, minato la salute dei cittadini, anziché provocare sensi di colpa e concreti cambiamenti di rotta, sembra diventare quasi un titolo di merito - dicono dalla Rete dei Tutela della Valle del Sacco -. Gli errori del passato vengono usati come un alibi per commetterne altri, assicurando ancora una volta, solo gli interessi di pochi a danno dell’intera collettività».

I Saharawi: un popolo in lotta

La storia dei sahrāwī, popolazione residente nel sahara occidentale marocchino, è comune a molti altri gruppi etnici o culturali che ancora oggi non hanno avuto la possibilità di autodeterminarsi ed avere un proprio stato. E, come tante altre vicende di guerra e ribellione, la maledizione è nascosta proprio in quella terra tanto amata e ambita: nel caso specifico i demoni si chiamano fosfati, di cui il territorio è ricco, e a cui il marocco non ha nessuna intenzione di rinunciare. Già gli spagnoli durante il loro ultimo periodo coloniale avevano sfruttato i giacimenti, e nonostante un tacito assenso alla creazione di una organizzazione statale in mano ai saharawi, le pressioni di re Hassan II di Marocco hanno avuto la meglio, impedendo l'indipendenza della popolazione sahariana.




Siamo nel 1973, e sono passati 13 anni dalla risoluzione 1514 dell'Onu, in cui si riconosceva il diritto all'indipendenza per le popolazioni dei paesi colonizzati e a 10 dall'inserimento del Sahara occidentale, all'epoca una colonia spagnola, nella lista dei paesi da decolonizzare. Il 10 maggio di quell'anno il Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguia el Hamra y Río de Oro) organizza il suo primo congresso di fondazione e la Spagna, al fine di organizzare il referendum che dovrà confermare la volontà della popolazione saharawi, il maggior gruppo culturale abitante nell'area, di autodeterminarsi, effettua un censimento della popolazione. All'indipendenza dei saharawi, però, è totalmente contrario il Marocco, che nella persona del suo re, Hassan II, si oppone a che ciò avvenga, arrivando ad organizzare quella che è passata alla storia come la "marcia verde", l'ingresso di ben 350 mila marocchini, preceduti da 25 mila soldati, nella zona e il contestuale inizio delle operazioni di guerriglia da parte del fronte Polisario.
Nonostante di facciata la Spagna avesse riconfermato il proprio avallo all'indipendenza dei saharawi, segretamente giunse ad un accordo con il Marocco e la Mauritania che si spartirono la zona dando inizio così a decenni di lotta e sofferenze per il popolo dei saharawi. Dal 1979 la Mauritania si è tirata fuori dalla contesa, riconoscendo la Repubblica Democratica Araba dei Saharawi, RASD, fondata dai resistenti, e di fatto delegando completamente al Marocco la continuazione della guerra. Negli anni il conflitto ha portato a migliaia di profughi fuggiti in campi situati per lo piu' in Algeria, e solo nel 1991, al fine di organizzare il mai tenuto referendum per l'indipendenza, si è giunti a un cessate il fuoco gestito dall'ONU, che ha inviato nel Sahara occidentale uma delegazione (MINURSO) col compito di vigilare sulla tregua. La missione dell'Onu ancora oggi, tra svariate proroghe, cerca di arrivare al tanto agognato referendum, ma la situazione, soprattutto nei campi profughi algerini, è rimasta la stessa.

Raffaele Petralla, fotografo, nel maggio di quest'anno ha viaggiato tra i saharawi e ne ha raccolto le immagini e le voci. Queste sono solo alcune delle foto scattate durante la sua permanenza nei campi profughi in territorio algerino.

Donne Saharawi protestano dopo che alcuni attivisti politici, recatisi nei campi profughi algerini, sono stati massacrati dalla polizia marocchina al loro ritorno in patria. Le donne hanno un ruolo molto importante nella cultura saharawi, e a loro sono delegate molte mansioni tra cui, appunto, le pubbliche proteste. Tante di loro sono diventate medici, infermiere o insegnanti, e tutto grazie alla trasmissione dei saperi. Ogni qual volta una di loro impara a fare un mestiere le proprie competenze vengono immediatamente condivise.




Ajknete sidi mohamed el cori 80 anni dice: "sono 20 anni che vivo nei campi profughi, in Algeria. Mia nipote è nata il giorno dopo la marcia verde, quando siamo stati costretti a fuggire. L'ho fatta nascere io stessa, dato che non avevamo nessun medico con noi. Da quel giorno ho aiutato molte altre donne a partorire, spesso in situazioni di assoluta precarietà. Quando l'Onu è entrata nel conflitto le violenze sono cessate e qualcosa è cambiato. Ma le loro promesse sul referendum per l'indipendenza sono state tutte tradite. Siamo ancora qui da 20 anni ad aspettare di avere un nostro stato, ma finora tutto è rimasto uguale al giorno della marcia verde>>.



Ziara, 24 anni e 7 fratelli, lavora come cantante e ballerina in giro per i campi profughi. Di lei dice: "so che la guerra è brutta, perchè porta morte e distruzione, ma non abbiamo altra scelta. Una volta sposata voglio avere solo figli maschi, per mandarli in guerra a combattere".




L'attesa nel deserto







Guerriglieri giovani e meno giovani del fronte Polisario, che da anni si batte per il raggiungimento dell'autodeterminazione del popolo saharawi








Tutte le foto sono state scattate da Raffaele Petralla

Alcuni link utili per ulteriori approfondimenti sul tema: