di Rossella Anitori e Luigi Menichilli per Left Avvenimenti
Il nemico è invisibile, e quando arrivi in città il pericolo non lo avverti. Le ciminiere della centrale a carbone rigurgitano nell’aria tonnellate di fumi inquinanti, e Civitavecchia si sveglia ogni mattina come nulla fosse. L’impianto Enel di Torre Valdaliga nord nonostante le polemiche é stato riconvertito a carbone e sulla testa di Alessio De Sio, l’ex sindaco di Forza Italia che disse sì al fossile, pende un’accusa di corruzione. Secondo il pm Cordova, che ha chiesto il suo rinvio a giudizio, il primo cittadino avrebbe dato parere favorevole alla riconversione della centrale termoelettrica in cambio di contratti e incarichi da parte dell’Enel. Questioni aperte e nodi irrisolti che segnano il destino di una città al centro di uno dei poli energetici più grandi d’Europa. «I cittadini pagano con la vita l’inerzia delle istituzioni». Non ha dubbi Simona Ricotti, responsabile del Forum Ambientalista locale e già consigliera comunale per Rifondazione Comunista. La qualità della vita a Civitavecchia non è delle migliori: oltre 7mila mw di potenza istallata per un totale di 3 centrali termoelettriche in meno di 20 chilometri, 2 a olio combustibile e una riconvertita a carbone, hanno generato un carico inquinante che ha messo a dura prova la popolazione.
«Un territorio che ha sopportato per 50 anni emissioni simili dovrebbe essere risparmiato dall’ulteriore peso ambientale del carbone - sostiene Mauro Mocci, di Medici per l’ambiente -. Studi vecchi e nuovi hanno contribuito a mettere in evidenza quello che già sapevamo: un eccesso di mortalità e ricoveri per patologie tumorali, disturbi respiratori, leucemie e linfomi. Siamo sull’orlo del disastro». La sola centrale di Torre Valdaliga nord ha una potenza installata di 1980 mw e produce oltre 40mila tonnellate di ceneri l’anno.
A rendere più fosco il quadro negli ultimi mesi ha concorso pure il sequestro di due aree della centrale di Torre Valdaliga nord. «Finalmente qualche lavoratore si è ribellato», dice soddisfatta la Ricotti. Prima della fine dell’anno il coordinamento No coke ha consegnato alla Procura della Repubblica di Civitavecchia 2 filmati, ricevuti in forma anonima, che mostrano irregolarità nella gestione dei rifiuti e delle ceneri del carbone nel cantiere della centrale. Nel primo video le immagini palesano una discarica a cielo aperto. All’interno dell’area alcune ruspe movimentano e seppelliscono rifiuti di ogni tipo: pneumatici, ferro, plastica, calcinacci, batterie, lana di vetro ma anche e, soprattutto, sacchi siglati come rifiuti speciali pericolosi. Il secondo filmato mostra invece un lavoratore che, senza alcuna precauzione, spala un mucchio di ceneri. «Ceneri che, a detta dell’Enel, non avrebbe mai dovuto vedere la luce» spiega Simona Ricotti. Nella brochure di presentazione dell’impianto, l’azienda garantisce infatti che la movimentazione del carbone «avviene in assoluta sicurezza», attraverso nastri «chiusi e in depressione che impediscono la fuoriuscita di polveri verso l’esterno». Secondo la responsabile del Forum Ambientalista però i video dimostrano che «così non è». L'Enel, a cui Left ha chiesto spiegazioni al riguardo, per il momento preferisce non rispondere.
Ma non è tutto. «La centrale opera oggi in assenza di autorizzazione e nessuno fa nulla» denuncia Ricotti. Il Forum Ambientalista, contrario al carbone, ha messo in luce alcune ambiguità legate all’iter di approvazione del progetto. «L’autorizzazione integrata ambientale (Aia) che consente il funzionamento dell’impianto è scaduta il 24 dicembre 2008 – spiega la Ricotti -. Il Ministero delle Attività Produttive l’aveva concessa all’Enel nel 2003 e la legge dice che deve essere rinnovata ogni 5 anni, a meno che l’impianto in questione non risulti, all’atto del rilascio dell’autorizzazione, registrato Emas (certificazione ambientale europea). Solo in questa eventualità il permesso vale 8 anni, ma non è il caso dell’Enel». L’azienda sostiene però di essere in regola e di possedere la certificazione necessaria per operare fino al 2011. «È vero che nel 2003 l’Enel possedeva una certificazione Emas - chiarisce la responsabile del Forum Ambientalista -, ma gli era stata rilasciata per un altro tipo di impianto, quello ad olio combustibile che adesso non esiste più». Poi aggiunge: «Oggi l’Enel ha presentato istanza per il rinnovo dell’Aia, ma la Conferenza dei servizi dev’essere ancora convocata. Se le norme e le leggi vigenti fossero rispettate, la centrale di Torre Valdaliga nord non potrebbe funzionare, basti pensare - continua la responsabile del Forum - che per le emissioni di monossido di carbonio l’Enel ha chiesto una deroga di oltre il triplo rispetto a quanto previsto dai limiti nazionali e europei. E transitoriamente gli è stata concessa. Ora vedremo con il nuovo rinnovo dell’Aia cosa succederà».
Il coordinamento no coke ha tentato in tutti i modi di bloccare la riconversione della centrale. Già nell’aprile del 2002 una commissione tecnico-scientifica, incaricata dal comune di Civitavecchia di studiare il caso, metteva in guardia sui rischi connessi «all’eventuale rilascio di arsenico, cromo e nichel», e al loro possibile «assorbimento da parte di piante e prodotti agricoli destinati all’alimentazione». L’anno successivo il Comune propose un referendum consultivo ma, con un ricorso al Tar prima e al Consiglio di Stato poi, l’Enel ne impedì lo svolgimento. A rivelare il parere della cittadinanza fu, però, una consultazione popolare autogestita dove il 90 per cento dei partecipanti (oltre 11mila) si espresse per il no. Così fecero anche tutte le amministrazioni limitrofe, la provincia di Roma, quella di Viterbo e la Regione Lazio guidata da Piero Marrazzo. Anche il comune di Roma scelse la stessa linea, per timore che le enormi quantità di inquinanti si riversassero sulla capitale, rendendo vani gli sforzi per ridurre il particolato già presente in città.
Nel 2004 fu, invece, la volta del comune di Ladispoli, che ricorse al tribunale di Civitavecchia chiedendo la sospensione dei lavori di riconversione a carbone della centrale termoelettrica. «Alla causa si associarono anche la provincia di Roma, i comuni di Allumiere, Tarquinia, Cerveteri, Legambiente e i Codacons - racconta Mauro Mocci -. La perizia, effettuata su richiesta del giudice, evidenziò che la valutazione di impatto ambientale con cui si volevano autorizzare i lavori era lacunosa e incompleta, e che c’erano seri rischi per la salute delle persone». I No Coke sentivano ormai la vittoria in pugno: la perizia parlava chiaro e il giudice avrebbe bloccato i lavori. Il 10 gennaio del 2005, però, all’udienza ci fu il colpo di scena: «gli avvocati dell’Enel - continua il medico, al tempo perito di parte - portarono in visione un documento che indusse il giudice a bloccare il processo». Si trattava del comma 552 dell’articolo 1, contenuto nella legge finanziaria 311 del 30 dicembre 2004, voluta dall’allora governo Berlusconi. «Legge approvata pochi giorni prima e non ancora pubblicata - sottolinea Mocci - ma di cui l’Enel, stranamente, era già a conoscenza». Il provvedimento assegnava tutte le cause e i ricorsi riguardanti l’energia al Tar, sottraendo di fatto la cosa alla competenza del giudice ordinario. A pochi metri dal traguardo, il fronte del No vide sospendere la gara.
A prendere in consegna le ragioni del No l’anno seguente fu Piero Marrazzo. «A pagina 72 del programma elettorale del neocandidato alla presidenza della Regione - spiega Simona Ricotti -, scritto di nostro pugno si leggeva: “Impedire la riconversione a carbone della centrale di Torre Valdaliga Nord”. Ma fu solo un impegno di facciata presto tradito. Marrazzo finì, infatti, per mettere a tacere le amministrazioni comunali, che ricevettero dall’Enel compensazioni in denaro>>. L'opposizione alla centrale a carbone dura ornmai da dieci anni e il coordinamento No Coke non si rassegna.A preoccupare gli abitanti del litoralelperò, non è solo il presente: «In cantiere c’è la duplice ipotesi di trasformare il quarto gruppo della centrale di Torre Valdaliga Sud in un inceneritore o di riconvertirlo a carbone - sostiene Ricotti -. Ed è diffuso il timore che presto l’impianto di Torre Valdaliga nord, già riconvertito a carbone, possa bruciare percentuali di cdr. Non sarebbe la prima volta. Dopo la sperimentazione sulla centrale di Fusina, all’Enel è stato infatti già concesso, con un decreto a livello nazionale, di bruciare una quota di combustibile da rifiuti nelle centrali a carbone». Il futuro di Civitavecchia dipende dalle scelte della politica ma, soprattutto, dalla mobilitazione della cittadinanza. «Il pericolo - avverte Mocci - è che la gente si abitui alle malattie connesse ai danni ambientali, che consideri i tumori una cosa normale, lo scotto che bisogna inevitabilmente pagare per compensazioni in denaro». L’opposizione alla centrale a carbone dura ormai da 10 anni e il coordinamento No Coke non si rassegna. A preoccupare gli abi, avere uno straccio di lavoro e mangiare».
Ecco il video, recapitato in forma anonima al Forum ambientalista di Civitavecchia, che testimonia la presenza nel territorio circostante la centrale di Torre Valdaliga nord, di una quantità enorme di ri rifiuti di vario genere, alcuni classificati come speciali.
In quest'altro video, realizzato e consegnato al comitato No coke sempre in forma anonima, si testimonia, invece, come un mucchio di polveri di carbone, che secondo l'Enel non avrebbero mai dovuto essere a contatto con l'aria e ben che meno alla portata dei lavoratori, viene spalato da un operaio, con notevoli rischi per la sua salute, data l'estrema tossicità di quelle polveri (Purtroppo, con la conversione nel formato Flv, adatto alla visualizzazione sul blog, si è persa molta qualità e le immagini appaiono piuttosto sfocate)