lunedì 1 febbraio 2010

Il giorno del maiale: tra rito, festa e morte




Questo post racconta di una giornata un po' particolare, passata nella mia terra, il Molise, tra il vento freddo dei primi giorni di gennaio e una tradizione che, tra divieti e supermercati forniti fino all'eccesso, continua a sopravvivere e stimolare emozioni contrastanti. Sto parlando del giorno del maiale, o " lu jurn ca' s' accid lu porcj", detto in dialetto. Il giorno che famiglie e amici dedicano all'uccisione di questo grande animale, così caro alla mia terra. In passato avere la possibilità di allevare un maiale, una stalla per farlo e dei soldi per comperarlo, era indice di ricchezza tra la gente del piccolo paese da cui provengo. Di questo animale, si sa, non si butta via niente, e la possibilità di conservare sotto forma di insaccati la carne dava modo a molti contadini di variare la propria dieta. Non solo fagioli o verdure varie dunque, ma anche proteine: succulente salsicce, ventricine, capocolli, salami e prosciutti imbandivano le tavole dei contadini nei momenti più belli, quelli in cui ci si ritrovava in festa con amici e parenti. E quelle si che erano feste, perchè erano rare!!


Per ammazzare un maiale con il metodo contadino, senza una cella frigorifera e dando da mangiare alla bestia solo roba sana e naturale, ci sono due condizioni da cui non si può prescindere: la prima, banale, è che il maiale sia bello grasso; la seconda, importantissima, è che il giorno prescelto faccia molto freddo, in modo che la carne non si secchi troppo e non si guasti.

Arriviamo alla masseria di Nicola per le nove, non proprio prestissimo, ma in tempo per assistere all'uccisione del secondo maiale di giornata -quel giorno ne sarebbero stati uccisi tre-. La mattinata è ventosa e molto fredda, ed io non ho a disposizione l'abbigliamento necessario a sopportare la temperatura, nè per stare in un luogo dove non ci si cura più di tanto dell'etichetta e della pulizia dei propri vestiti. Mi vengono allora dati degli indumenti più appropriati alla campagna: una tuta da meccanico, delle scarpe anti-infortunistiche, un gilet e una fascia per le orecchie per proteggermi dal freddo. Pronto e finalmente al caldo mi preparo ad assistere al rito. Quando si ammazza un maiale tra la gente che vi partecipa c'è sempre una particolare eccitazione e l'atmosfera è carica di attesa. Le persone presenti sono molte e con ruoli diversi. Il protagonista, il principale artefice della dipartita della bestia e colui che, con la propria bravura, da' la possibilità al porco di soffrire poco, è l'uomo che si occupa di sgozzarlo. Ha in mano un lungo coltello affilato come una spada, che brandisce con estrema sapienza e disinvoltura. Il suo mestiere consiste nel trovare il punto migliore dove infilare la lama, sotto la gola del maiale, per fare in modo che si dissangui in poco tempo, non soffra molto e la carne si liberi completamente del fluido vitale. Sembra una cosa facile ma, vi assicuro, non lo è per niente. Gli altri astanti hanno mansioni diverse: c'è quello che blocca il maiale nella stalla e lo trascina fuori, quelli che fermano le zampe al momento dello sgozzamento, altri che si occupano di pelarlo e lavorarne le interiora e poi ci sono quelli come me che, curiosi e impazienti, assistono in silenzio e a una distanza dall'animale che si fà via via sempre minore.


La masseria in cui mi trovo ha un caseggiato principale che funge anche da abitazione, accanto al quale, sulla sinistra, sorge una costruzione non rifinita fatta di mattoni e cemento adibita a stalla per gli animali e rimessa per i mezzi agricoli. E' qui che si trova il maiale, ed è proprio davanti alla sua stalla che verrà ammazzato. Innanzitutto due coraggiosi si occupano di tirarlo fuori dalla stalla. Dico coraggiosi perchè il maiale è un animale piuttosto forte che, se in pericolo, non lesina morsi e testate. Per bloccarlo e agevolare il dopo gli viene legata una corda attorno ad una delle zampe posteriori. Questa si stringerà all'arto e, se ben collocata, andrà a bloccarsi all'altezza del tallone, che nel maiale si trova ben più sopra delle dita dei piedi. Come tutti gli animali anche il suino sente l'avvicinarsi della propria ora, ancor di più se davanti alla stalla è stato da poco ammazzato un suo simile: sente l'odore del sangue nell'aria, ha udito le urla, gli strepiti e le imprecazioni dei contadini. Il secondo animale a morire è sempre più nervoso e meno mansueto del primo, e occorre tutta la sapienza necessaria per far si che le cose filino via lisce e senza intoppi. Una volta bloccato, la bestia viene tirata via con forza dalla propria stalla e qui inizia la parte truculenta. E' davvero difficile descrivere le urla e il dimenarsi di un porco impaurito. Sono fortissime, e gli scatti del corpo, tesi a liberarsi dalla morsa, sono gli ultimi, estremi tentativi di sventare un destino ineluttabile. Il maiale in questione, poi, non ha nessuna intenzione di morire e strilla e si dimena, vende cara la pelle e fà sudare sette camicie agli uomini che cercano di tenerlo fermo. Si mette sulle ginocchia e sbuffa così tanto che io, a qualche metro di distanza, sento quasi il suo fiato sul viso. Poggia il muso per terra, che gli diventa rosso per il sangue e alcune viscere del maiale ammazzato poco prima, e inizia a tirare fuori la lingua per lo sforzo. Tira fortissimo e cerca di divincolarsi, ma non può andare da nessuna parte, la sua fine è vicina. Il tallone non è troppo sporgente e la corda non riesce a bloccarsi e a immobilizzare l'arto. C'è bisogno di tutta la forza e la pazienza dei contadini presenti per portare a termine l'operazione e appendere il maiale per la zampa posteriore, a testa all'ingiù. Finalmente la corda si blocca e in due riescono a fissarla, con un gancio, alla forca di un muletto. A questo punto la parte difficile è conclusa, l'animale è stato immobilizzato o, per lo meno, non può più scappare. Ma ha ancora tre zampe libere, e mentre e appeso, capovolto, scalpita come un dannato. Ora, per facilitare il compito di colui che lo dovrà sgozzare
, c'è bisogno di immobilizzare almeno altre due zampe: l'altra posteriore e una delle due anteriori, possibilmente quella opposta all'arto inferiore immobilizzato. Questo viene fatto con estrema cautela, perchè una zampata o una testata sono dietro l'angolo e le forze del maiale, nella situazione di estremo pericolo, si sono moltiplicate a dismisura. Una botta ricevuta in questo momento potrebbe essere per chiunque estremamente dolorosa. Ma ci si riesce, ora tutto è pronto per il momento culminante.


Centinaia e centinaia di anni sono racchiusi in questo gesto, che a molti potrebbe sembrare crudele, squallido e privo di sensibilità, ma che per la mia gente che ancora porta avanti questa tradizione è soltanto ciò che si deve fare. Senza sentimentalismi, senza pensare troppo. La vita di un animale per la sopravvivenza alimentare dell'uomo. Oggi è più comodo, ed ipocrita, andare in un supermercato, acquistare in vaschette di polistirolo la carne già macellata e cofezionata e bollare la pratica che vi sto descrivendo come incivile. La maggior parte delle persone che consuma carne non ha mai visto l'animale che sta mangiando vivo. Gli farebbe schifo. Non riuscirebbe più a mandarla giù. Si rattristerebbe, proverebbe compassione e disgusto ma alla prima occasione, lontani dallo sguardo impaurito della bestia e davanti a una succulenta braciola, senza remore, inizierebbe a tagliare e a ingurgitare quella carne. Fregandosene dell'animale che l'ha donata. Le persone che ammazzano gli animali non in serie, per consumo proprio e per avere dei prodotti affidabili sono da ammirare. Questa gente rispetta le bestie, le accudisce, si occupa di farle stare bene e non le maltratta. Gli animali in questione non vivono in batterie, uno accanto all'altro in spazi dove non è possibile nemmeno che si accuccino. Sono destinati alla morte, è vero, ma in un mondo che ha perso il contatto con il cibo, con la sacralità degli alimenti e con la pratica di procacciarsi il pasto, o quantomeno con il lavorare le materie per renderle commestibili, quella che vi sto descrivendo è una storia che ci riconcilia con il nostro bisogno di alimentarci. Senza sentimentalismi, senza pensare troppo e senza ipocrisie.


Tornando a dove eravamo rimasti, al momento topico, il porco ora è ben fermo, bloccato in tre punti. Il suo collo è liscio e di un colore rosa pastello. Qui, devo dire la verità, dentro di me ho un sussulto. Il vento ha perso di intensità e un flebile sole, sbucato tra i nuvoloni invernali, rivolge i propri raggi verso di noi, quasi ad illuminare meglio il punto del maiale in cui il coltello dovrà entrare. La sua gola è ora ben visibile. Dopo una breve fase di studio, in cui l'animale continua a fare su e giù con il capo, l'uomo con il coltellaccio lo afferra per un orecchio per tenerlo ancora di più ben fermo. Dopo di che, zac, un colpo secco, dentro e fuori in meno di un secondo e dallo squarcio apertosi nella sua gola inizia ad uscire il sangue. Lo spruzzo all'inizio
ha poca forza, ma poi, spinto dal cuore che per la paura pompa con più solerzia, acquista potenza, fino a diventare un intenso gettito. Il sangue crea per terra un rigagnolo ben compatto, sempre più grande. Senza neanche accorgermene i miei piedi sono ora lambiti dal fluido rosso, che per il calore e la bassa temperatura dell'aria sprigiona un denso vapore che arriva fino alle mie narici. Man mano che passano i secondi il sangue che sgorga dalla ferita sulla gola del maiale perde d'intensità, e diventa un filo intermittente. E' ancora vivo, ma nel giro di poco emette l'ultimo respiro, l'ultimo strepito, l'ultimo grugnito e spira. La testa ora è appesa, senza vita, e si muove slegata dai muscoli e dai tendini che l'hanno governata fino a poco prima. Tra di noi, allora, la tensione si placa e la tranquillità prende il posto dell'agitazione. E' davvero la fine.


Il corpo del maiale, pronto per essere lavorato, è poi posto su di un particolare tavolo con le ruote, fatto a forma di conca e con delle sbarre sulle quali viene appoggiato l'animale. Si utilizza questo particolare appoggio per far scolare via l'acqua bollente utilizzata per staccare i peli che ricoprono il corpo. Una volta irrogato il corpo con il liquido bollente, con una particolare spatola non affilata si gratta la cotenna e la peluria viene via con facilità. La pelle del suino è molto dura e, se non fosse per questo, senza peli, al tatto sarebbe molto simile a quella umana. Concluso questo passaggio e tirate via le unghia, con un incisione nella parte finale delle zampe vengono tirati fuori i due tendini posteriori, che nell'uomo dovrebbero essere i tendini d'achille. Questi sono molto resistenti e vengono utilizzati per incastrare il gambiere, un aggeggio di ferro fatto a triangolo e posto, appunto, tra i tendini e l'osso, con i primi a fare da corda. Serve per tenere divaricate le gambe dell'animale e, all'estremità superiore, ha un gancio a cui viene legata una corda per appenderlo e iniziare a togliere le viscere.

Diciamo che la parte interessante è finita, anche perchè la macellazione di un animale è più o meno uguale per qualunque bestia. La peculiarità fondamentale del suino, che ne caratterizza anche la fase della spartizione, è proprio quella che riguarda l'utilità di ogni singola parte del suo corpo. Al giorno d'oggi qualcosa viene buttato via, ma fino a qualche anno fà tutto era importante. Si ha particolare cura soprattutto nell'estrazione e nella pulitura delle budella, che poi serviranno come contenitrici della carne tritata. Per capirci, la pelle che vedete intorno alle salsicce non sono altro che budella seccate insieme alla carne.

Penso di avere detto proprio tutto, o quantomeno di aver detto ciò che mi interessava dire. L'ultima cosa importante della giornata è stato il pranzo, in cui viene consumata la prima carne macellata. Di solito è fritta con l'aglio, ma ci si può fare anche un saporito sugo per condire la pasta. E poi vino, vino e nacora vino, per cocludere con leggerezza una giornata carica di tensioni ma, allo stesso tempo, di festa.
Spero che questo racconto, o meglio, reportage, non scandalizzi più di tanto coloro amano gli animali, perchè non v'è insensibilità alcuna, nè nella pratica descritta, nè tantomeno nel cuore delle persone, e del sottoscritto, che vi hanno partecipato. E' l'atavico gioco delle parti che da sempre informa il mondo. Non si può cambiare la nostra natura onnivora di cacciatori, prima, e allevatori poi.
La mia ultima riflessione la vorrei dedicare a tutti coloro consumano solo alimenti confezionati, perchè non hanno la possibilità di fare altrimenti. Cercate, il più possibile, di riacquistare una sintonia con il vostro cibo. Dovete farlo. Il cibo è ciò che siamo, ciò che saremo, e in esso, nella sua lavorazione, sono racchiusi millenni di cultura e pratiche alimentari. Cerchiamo tutti insieme di non sprecarlo, e di non esagerare con il consumo. Con le nostre scelte alimentari possiamo mantenere in vita tradizioni e piccoli produttori che altrimenti scomparirebbero, e dare vita a una vera e propria rivoluzione dal basso, che più che mai aderisce alla nostra epoca di consumo sfrenato. Utilizziamo le nostre scelte alimentari quotidiane per fare delle scelte politiche, per migliorare il mondo e, soprattutto, per rendere più degna la vita degli animali che ci permettono di sopravvivere.

Un grazie e un abbraccio sentito al mio amico Nicola e alla sua famiglia per avermi dato la possibilità di prendere parte a una tradizione che, giorno dopo giorno, sta scomparendo sotto il peso degli ipocriti burocrati e di coloro non hanno mai visto una bestia da vicino

4 commenti:

  1. Bello davvero. Mi piacerebbe assistere ad un evento di questo tipo, spero possa capitare prima o poi; e come nelle pagelle di quello di controcampo....Luigi Menichilli, voto 8....splatter

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  2. spettacolare!!!!!!!!!!!!! bellissimo !!!!!!!!!!! bella MENICHI'

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  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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