lunedì 18 ottobre 2010

I Saharawi: un popolo in lotta

La storia dei sahrāwī, popolazione residente nel sahara occidentale marocchino, è comune a molti altri gruppi etnici o culturali che ancora oggi non hanno avuto la possibilità di autodeterminarsi ed avere un proprio stato. E, come tante altre vicende di guerra e ribellione, la maledizione è nascosta proprio in quella terra tanto amata e ambita: nel caso specifico i demoni si chiamano fosfati, di cui il territorio è ricco, e a cui il marocco non ha nessuna intenzione di rinunciare. Già gli spagnoli durante il loro ultimo periodo coloniale avevano sfruttato i giacimenti, e nonostante un tacito assenso alla creazione di una organizzazione statale in mano ai saharawi, le pressioni di re Hassan II di Marocco hanno avuto la meglio, impedendo l'indipendenza della popolazione sahariana.




Siamo nel 1973, e sono passati 13 anni dalla risoluzione 1514 dell'Onu, in cui si riconosceva il diritto all'indipendenza per le popolazioni dei paesi colonizzati e a 10 dall'inserimento del Sahara occidentale, all'epoca una colonia spagnola, nella lista dei paesi da decolonizzare. Il 10 maggio di quell'anno il Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguia el Hamra y Río de Oro) organizza il suo primo congresso di fondazione e la Spagna, al fine di organizzare il referendum che dovrà confermare la volontà della popolazione saharawi, il maggior gruppo culturale abitante nell'area, di autodeterminarsi, effettua un censimento della popolazione. All'indipendenza dei saharawi, però, è totalmente contrario il Marocco, che nella persona del suo re, Hassan II, si oppone a che ciò avvenga, arrivando ad organizzare quella che è passata alla storia come la "marcia verde", l'ingresso di ben 350 mila marocchini, preceduti da 25 mila soldati, nella zona e il contestuale inizio delle operazioni di guerriglia da parte del fronte Polisario.
Nonostante di facciata la Spagna avesse riconfermato il proprio avallo all'indipendenza dei saharawi, segretamente giunse ad un accordo con il Marocco e la Mauritania che si spartirono la zona dando inizio così a decenni di lotta e sofferenze per il popolo dei saharawi. Dal 1979 la Mauritania si è tirata fuori dalla contesa, riconoscendo la Repubblica Democratica Araba dei Saharawi, RASD, fondata dai resistenti, e di fatto delegando completamente al Marocco la continuazione della guerra. Negli anni il conflitto ha portato a migliaia di profughi fuggiti in campi situati per lo piu' in Algeria, e solo nel 1991, al fine di organizzare il mai tenuto referendum per l'indipendenza, si è giunti a un cessate il fuoco gestito dall'ONU, che ha inviato nel Sahara occidentale uma delegazione (MINURSO) col compito di vigilare sulla tregua. La missione dell'Onu ancora oggi, tra svariate proroghe, cerca di arrivare al tanto agognato referendum, ma la situazione, soprattutto nei campi profughi algerini, è rimasta la stessa.

Raffaele Petralla, fotografo, nel maggio di quest'anno ha viaggiato tra i saharawi e ne ha raccolto le immagini e le voci. Queste sono solo alcune delle foto scattate durante la sua permanenza nei campi profughi in territorio algerino.

Donne Saharawi protestano dopo che alcuni attivisti politici, recatisi nei campi profughi algerini, sono stati massacrati dalla polizia marocchina al loro ritorno in patria. Le donne hanno un ruolo molto importante nella cultura saharawi, e a loro sono delegate molte mansioni tra cui, appunto, le pubbliche proteste. Tante di loro sono diventate medici, infermiere o insegnanti, e tutto grazie alla trasmissione dei saperi. Ogni qual volta una di loro impara a fare un mestiere le proprie competenze vengono immediatamente condivise.




Ajknete sidi mohamed el cori 80 anni dice: "sono 20 anni che vivo nei campi profughi, in Algeria. Mia nipote è nata il giorno dopo la marcia verde, quando siamo stati costretti a fuggire. L'ho fatta nascere io stessa, dato che non avevamo nessun medico con noi. Da quel giorno ho aiutato molte altre donne a partorire, spesso in situazioni di assoluta precarietà. Quando l'Onu è entrata nel conflitto le violenze sono cessate e qualcosa è cambiato. Ma le loro promesse sul referendum per l'indipendenza sono state tutte tradite. Siamo ancora qui da 20 anni ad aspettare di avere un nostro stato, ma finora tutto è rimasto uguale al giorno della marcia verde>>.



Ziara, 24 anni e 7 fratelli, lavora come cantante e ballerina in giro per i campi profughi. Di lei dice: "so che la guerra è brutta, perchè porta morte e distruzione, ma non abbiamo altra scelta. Una volta sposata voglio avere solo figli maschi, per mandarli in guerra a combattere".




L'attesa nel deserto







Guerriglieri giovani e meno giovani del fronte Polisario, che da anni si batte per il raggiungimento dell'autodeterminazione del popolo saharawi








Tutte le foto sono state scattate da Raffaele Petralla

Alcuni link utili per ulteriori approfondimenti sul tema:




1 commento: