domenica 23 settembre 2012

La miopia del governo e degli italiani di fronte ai tagli all'assistenza per i disabili

Dopo due anni di speranze ed esasperante attesa il governo ha dato parere negativo all'istituzione di un fondo, 150 milioni di euro, da destinarsi alla realizzazione di centri di accoglienza per persone disabili rimaste sole. Migliaia di famiglie italiane vedevano in questo seppur minimo contributo l'unica possibilità di far fronte alle spese per le cure e l'assistenza ai propri cari. Con questa nuova sforbiciata, e dopo i tagli di luglio, le politiche sociali del nostro paese rischiano seriamente di far sprofondare all'incirca 860 mila italiani (è il numero delle persone, tra malati gravi, anziani e giovani più a rischio) nel baratro dell'abbandono. E' la dimostrazione di come l'abito mentale di un governo tecnico sia allo stesso tempo tanto efficace nella ristrutturazione dei conti pubblici, per via di un contenimento indiscriminato delle spese, quanto inappropriato alla comprensione reale e profonda delle questioni che quotidianamente attraversano il nostro paese. Quest'ultimo compito sarebbe quello proprio della politica, se quella nostrana non fosse così scadente e lontana dalle esigenze dei propri governati, a tal punto da dover ricorrere a dei "tecnici".

Facendo parlare i numeri si capisce come sia altissimo il rischio di far diventare l'Italia l'inferno dei più deboli. Nonostante ciò, ed è questo un sintomo profondo della crisi anche morale che attraversa il "belpaese", il tema appassiona davvero pochi italiani, che perlopiù se ne fregano, lasciando la protesta completamente sulle spalle dei diretti interessati e delle loro famiglie. In Italia ci sono circa 4,1 milioni di disabili., il 6,7 percento della popolazione, e di questi 2,1 milioni versano in condizioni particolarmente gravi e bisognose di cure ed assistenza. Una delle paure più grandi per le famiglie dei disabili più gravi è, com'è facile pensare, rappresentato dal futuro. E la domanda impellente che si pongono è: "dove finiranno i nostri figli quando noi non ci saremo più?" Naturalmente chi governa il nostro paese questa domanda non se l'è posta, visti i tagli già effettuati dal governo precedente, per mano di Tremonti, e che hanno portato il budget per le politiche sociali dai 929 milioni del 2009 ai 220 milioni del 2011,  e non rifinanziato il fondo per la non autosufficienza, tagliando in un sol colpo i 400 milioni di euro che vi erano destinati. Una vera è propria ecatombe, che rischia di generare, in un Italia già sfiancata dalla crisi, nuove povertà e disparità. Il periodo economico che stiamo vivendo costringe gli stati, in seno al sistema capitalistico di mercato, a profonde ristrutturazioni della spesa pubblica. Tagli che non possono essere indiscriminati, poichè alcuni settori rimangono vitali e fondamentali per il corretto bilanciamento del patto sociale. Per di più il settore dell'assistenza ai disabili occupa nel nostro paese centinaia di migliaia di persone, che hanno già perso o perderanno il lavoro, deprimendo ancora di più gli asfittici consumi. Molte regioni, in seguito a questi decurtamenti, hanno già operato delle decise restrizioni di spesa che al sud in alcune regioni si sono tradotte in tagli fino al 70 %. E se nel nord le dicffioltà possono essere calmierate dalla maggior presenza sul territorio di strutture destinate all'assistenza dei portatori di handicap, da Roma in giù la situazione è gravissima. In percentuale la spesa che lo stato destina a disabili, anziani, minori, etc rappresenta lo 0,4% del Pil. Un inezia se rapportata alle altre voci di spesa che riguardano il funzionamento dell'apparato burocratico e della politica.

Ancor più pericoloso è il messaggio, cinico ed egoistico, che tali provvedimenti veicolano tra i cittadini, e cioè che se non si è direttamente interessati da una disabilità o se non si ha un figlio o un parente con questi problemi ad avere la preminenza è la salute dei conti pubblici. Alla faccia della solidarietà di cui si informa la nostra costituzione quando dice che " è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana..." Non sono un costituzionalista, ma non ci sarebbero gli estremi per dichiarare questi tagli incostituzionali?

In tutto ciò rimane un senso di profondo scoramento per una società che se da una parte, e per voce di vari partiti politici che si fanno alfieri di temi sociali, dibatte sulla sacralità della famiglia, sul matrimonio dei gay e sulla possibilità di lasciar loro adottare dei figli, quando si tratta di proteggere i più deboli, quelli che davvero e anche fisicamente non possono provvedere a loro stessi, si volge egoisticamente dall'altra parte. Una miopia tale che non ci si rende conto neanche del fatto che il nostro destino è inconoscibile e che domani potrebbe capitare ad ognuno di noi di avere bisogno di aiuto. Uno stato e una società che non sono capaci di proteggere i propri componenti più deboli è destinata inevitabilmente a fallire il proprio obbiettivo, che è quello della promozione e della cura del genere umano. Questo problema più di ogni altro ci interessa tutti, perchè come diceva Brecht, in un vecchio ma sempre attuale monito riferito alla persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti,  "un giorno vennero a prendere me,  e non c'era più nessuno a protestare".

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