domenica 20 dicembre 2009

Charlie "Bird" Parker, il signore del bop


E' difficile non ripiangere la morte prematura di the Bird. A soli 34 anni stroncato dagli stravizi e da un'anima in pena che trovava sollievo solo nell'eroina e nel fiume di musica che usciva dal suo sax. Quanto ancora avrebbe potuto rgalarci questo fantastico sassofonista? Insieme a Dizzy Gillespie, trombettista, avviò una vera e propria rivoluzione nel mondo della musica jazz, troppo ancorata ai classicismi, e in contrapposizione allo swing, lo smielato jazz dei bianchi. Fu l'invasione del Bebop, in seguito Bop. Con altri interpreti rimasti nella storia della musica, come Charles Mingus, Lester Young,Coleman Hawkins, Max Roach, Bud Powell, Count Basie e altri ancora, infuocò le notti nei jazz club di New York. Ancora oggi è difficile trovare un sassoonista le cui dita letteralmente volano sulle chiavi come fossero slegate dal corpo. E allora, in memoria di Charlie Junior Parker, detto the Bird, il signore del Bop:

(Per chi vuole saperne di più consiglio la visione dl film, diretto da Clint Eastwood, Bird, la storia di Charlie Parker).










Arrestato per lo stupro di un bambino, dopo 35 anni viene scarcerato perchè è innocente




Dopo essere stato accusato dello stupro di un bambino di 9 anni, e aver passato 35 dei suoi 54 anni in carcere, ieri James Bain è stato liberato da un tribunale della Florida. A decretarne l'innocenza è stata la prova del Dna, non ancora in uso al tempo dell'arresto.

All'epoca dei fatti, era il 1974, Bain fu riconosciuto colpevole grazie alla testimonianza, della vittima, cioè un bambino di nove anni in evidente stato di confusione. Nonostante per l'ora del fatto avesse un alibi, Bain, afroamericano, fu condannato all'ergastolo.

Dopo aver lottato per molto tempo da solo, del caso di James Bain hanno iniziato a occuparsi gli avvocati di Innocent projects, un'organizzazione che cerca, dov'è evidente la scarsezza di prove, di arrivare alla verità e alla scarcerazione di persone ingiustamente condannate.

Questo è solo uno dei 247 casi negli Stati Uniti, di persone ingiustamente condannate e poi scarcerate. Ma nessuno era rimasto così a lungo dietro alle sbarre.
Pensate un pò a quanti, invece che condannati a pene detentive, hanno ricevuto la sentenza di morte nonostante fossero innocenti. Dal 1973 ben 129 detenuti finiti nel braccio della morte, in seguito all'emergere di nuove prove, sono stati rilasciati. E su tanti la cui innocenza viene dimostrata è impossibile fare una stima di quanti, invece, sul patibolo ci sono arrivati, da innocenti.

Tutti questi casi hanno un solo comune denominatore: prove confuse, testimoni non attendibili, indagini non accurate e inadeguata assistenza legale. Per molti di questi, non per tutti, c'è un altro elemento comune che da sempre istiga le giurie americane a decidere per la colpevolezza: il colore della pelle. Anche James Bain era nero, e se oggi il razzismo negli Stati Uniti si è comunque attenuato, pensate un pò cosa doveva essere nel 1974, per un nero, affrontare un processo in Florida con un testimone che è sicuro della sua accusa: condanna certa, o quasi.

Il problema è semplice, ma allo stesso tempo spinoso e fondamentale: per il bene della società e per la sua sicurezza è più importante arrivare, nonostante la poca fondatezza delle prove, a una sentenza, oppure cercare di non condannare un innocente? Fate voi.

venerdì 18 dicembre 2009

Un anno di Civico zero, all'insegna dell'accoglienza e della salvaguardia dei minori di strada

Tutte le foto utilizzate per il servizio sono state scattate da Marco Iegri per Save the children: nelle foto Manuel e Diego, ragazzi rom bosniaci, e ragazzi non accompagnati a Roma.



Roma è una delle città italiane con il maggior numero di minori stranieri non accompagnati. Ragazzi che giunti da soli nel nostro Paese spesso vivono in condizione di estrema povertà, e sono dunque notevolmente esposti al rischio di abusi e sfruttamento. Nella capitale, però, dal dicembre dello scorso anno c'è una struttura che si occupa di dar loro sollievo dalle fatiche della strada: un pasto caldo, la possibilità di cambiarsi, di fare una doccia e di entrare a contatto in modo sereno con i loro coetanei. Il suo nome è Civico zero, e si trova nel quartiere di san Lorenzo. All'interno sono evidenti i segni del passaggio di ragazzi di varie culture e nazionalità. Graffiti con scritte in arabo, romeno e poesie appese ai muri nelle lingue più disparate. L'aria che si respira è accogliente e, nella geografia urbana dei ragazzi stranieri di strada, questo è un luogo su cui contare. «Molti ragazzi arrivano in condizioni davvero difficili – ci dice Mohammad Musavi, un educatore di Civico zero-. Alcuni addirittura con la scabbia e diverse piaghe sul corpo, a causa della vita di strada. Quello che facciamo noi, come prima cosa, è fornire adeguate cure mediche e la possibilità ai ragazzi di lavarsi e consumare un pasto caldo». Mohammad è un giovane di origine afgana di ventidue anni, in Italia da quattro. La sua storia è simile a quella di molti altri minori che frequentano il centro, con la differenza che lui ce l'ha fatta.. E' la prova vivente che, con un adeguato percorso di accoglienza e integrazione, si può aspirare a condurre una vita degna e soddisfacente. «Dopo il primo approccio -continua Mohammad- cerchiamo di guadagnarci la fiducia del ragazzo, offrendo un internet point gratutio e diversi laboratori e attività creative. Abbiamo anche una palestra. In seguito cerchiamo di capire le intenzioni del minore, il suo progetto migratorio, e per quanto possibile lo indirizziamo a scegliere la strada migliore, anche con l'ausilio di un avvocato per la consulenza legale». Nell'ambito del progetto civico zero, da ottobre 2008 ad oggi, sono stati contattati e seguiti oltre 1200 ragazzi, di cui 534 sono stati supportati all'interno del centro diurno di San Lorenzo e 315 nelle attività su strada. Il fine è quello di fornire un sostegno ai minori che vivono in condizioni di marginalità sociale, e a forte rischio di devianza. «Il nostro intento -ci dice Laura Lagi, coordinatrice del progetto- è quello di rendere il più possibile accessibile la struttura. Lavoriamo anche con neo maggiorenni, e cerchiamo di agganciare il maggior numero di ragazzi andando anche per strada a fornire assistenza e a spiegare come opera il centro. Non vogliamo sostituire il lavoro degli enti locali -conclude la Lagi-, al contrario cerchiamo di integrarlo e renderlo più efficiente». Mentre parliamo la mattinata scivola via fredda, e il centro si va riempiendo. Iniziano ad arrivare i ragazzi e immediatamente si fiondano sui computer con la connessione ad internet. «Purtroppo molti sono delusi della loro esperienza italiana – dice Mohammad-. Il problema è che spesso per strada incontrano delle persone grandi che non hanno avuto fortuna, oppure sono finite a delinguere. Così cresce in loro la voglia di andare via.. E' bello però -conclude l'educatore- vedere i ragazzi che si impegnano nelle attività quotidiane. Che costruiscono piccoli oggetti di uso comune, che socializzano con propri coetanei». Con la speranza che tra questi giovani, un giorno, ci siano tanti nuovi Muhammad.


Pubblicato su Terra il 18/12/2009

Primo rapporto annuale di Save the children sui minori stranieri in Italia: in pericolo sono soprattutto i ragazzi non accompagnati



L'immigrazione minorile in Italia è in costante aumento. E' quanto emerge dal primo rapporto annuale sul fenomeno realizzato da Save the children che, dopo cinque anni di lavoro sul fronte dell'assistenza e della salvaguardia dei giovani stranieri arrivati nel nostro Paese, ha tentato di sistematizzare il fenomeno. “Questo rapporto è molto importante perchè permette di comprendere meglio il problema per poter poi realizzare interventi più efficaci”. A parlare è Valerio Neri, direttore generale di Save the children Italia, che sottolinea come sulla questione ci sia una “vasta confusione”: “è indispensabile – afferma Neri- distinguere tra le varie realtà in cui vivono i minori. Tra quelli residenti in Italia, nati nel nostro Paese o che hanno raggiunto i propri genitori grazie al ricongiungimento famigliare, e altri definiti "non accompagnati", arrivati da soli. E' su questi ultimi - continua il direttore dell'organizzazione - che si concentrano la maggior parte dei nostri sforzi, in quanto più esposti al rischio di sfruttamento e violenze”. Dal 1 gennaio 2004 alla stessa data dell'anno in corso, secondo dati suscettibili di errore, il numero di minori residenti in Italia tra regolari e irregolari è notevolmente cresciuto, passando da 412.432 a 862.452. A questi vanno aggiunti i minori non accompagnati, segnalati dai pubblici uffici e dagli enti sanitari e di assistenza, che raggiungono la considerevole cifra di 6.587 unità (anche questi dati non possono considerarsi completi, data la difficoltà ad arrivare a tutti i minori presenti sul territorio nazionale). Di questi ben il 77 per cento ( 5.091) sono sprovvisti di documenti di identità. Provengono da 77 paesi diversi, con una netta preponderanza del continete africano: i più numerosi vengono dal Marocco (15 per cento), dall'Egitto (14), dall'Albania e dall'Afghanistan (11). Quasi sempre si tratta di bambini e adolescenti che hanno dovuto affrontare viaggi lunghi e faticosi e non sempre, una volta arrivati a destinazione, hanno le idee chiare. Spesso il loro, più che un vero e proprio “progetto migratorio”, assomiglia a una fuga, soprattutto se provengono da paesi in cui c'è la guerra. Nel 2008 il 95 per cento di loro è sbarcato in Sicilia, mentre Ancona e Venezia sono le porte d'accesso per quelli che provengono dall'Afghanistan. Gorizia è invece lo snodo per i minori dell'est, spesso vittime di tratta destinata alla prostituzione. Una volta in Italia, in particolare coloro che arrivano in Sicilia, vengono accolti nelle comunità di accoglienza, ma molti dopo un breve periodo fuggono. Tra maggio 2008 e febbraio 2009 su un totale di 1860 sono stati in 1119 a scappare. A condurre i minori a rifiutare l'accoglienza spesso è la necessità di guadagnare denaro. Capita infatti, specie per i ragazzi provenienti dall'Egitto che, per pagare il viaggio della speranza, le famiglie si indebitino con i trafficanti, rischiando ritorsioni in caso di mancato pagamento. E cosi i ragazzi, in dovere verso la propria famiglia, accettano qutalsiasi tipo di lavoro diventando facili prede degli sfruttatori, condizione dalla quale è fondamentale sottrarli.



Pubblicato su Terra il 18/12/2009