mercoledì 30 marzo 2011

Parmalat, l'ennesima avvisaglia di un capitalismo vecchio e stanco


Una delle notizie che più mi ha incuriosito in questi giorni, riguarda il tentativo di scalata della Lactalis, azienda francese terza produttrice al mondo di latte e derivati, nei confronti dell'italiana Parmalat. Sembrano passati millenni dalla fine del 2003, quando all'orizzonte si stava profilando il più grande crac/scandalo finanziario mai avvenuto nel nostro paese e l'azienda di Collecchio, ex "gioiellino", mandava in rovina migliaia di piccoli risparmiatori che su di essa avevano investito gran parte dei loro risparmi. Da allora la Parmalat è stata commissariata e affidata ad uno dei più bravi risanatori del nostro paese, Enrico Bondi, scomparendo, o quasi, dalla cronaca quotidiana fino ad oggi. Nel frattempo Bondi ha fatto un ottimo lavoro risanado l'azienda e portandola al 13° posto al mondo come produttrice di latte. Per di più il commissario ha vinto e sta vincendo numerose cause con le banche che avevano finanziato il "mostro" dei Tanzi, riuscendo ad accumulare una cospicua liquidità, circa un miliardo e mezzo di euro. Insomma, un'azienda sana e competitiva con accessi a numerosi e importanti mercati esteri.
Tornando ad oggi, ed è il motivo per cui la notizia mi ha incuriosito, non riesco a capire perchè il capitalismo italiano non ha provato prima dei francesi ad avvicinarsi all'azienda di Collecchio. Ho letto che solo qualche anno fa la Ferrero, produttrice della Nutella, aveva fatto un sondaggio e avrebbe potuto acquisire la Parmalat per soli 800 milioni di euro, mentre oggi l'offerta della Lactalis è di circa un miliardo e mezzo. Quello che mi colpisce è la rincorsa, già vista in altri casi e per altre aziende, asset strategici per il nostro paese, che i nostri capitalisti avviano quando sentono il fiato straniero sul collo della nostra economia. Per lo meno c'è da registrare un deficit di intraprendenza dei nostri imprenditori e un modello di crescita, ormai instaurato, che non vede nelle acquisizioni, e dunque nella scommessa che è alla basse del fare impresa, il viatico per diventare grandi. Il modello di espansione prediletto dal nostro capitalismo è quello interno, cioè la crescita per gradi della propria zienda fatta di migliorie e qualità dei prodotti, senza però inglobare aziende concorrenti e che potrebbero diventare una risorsa. Un modello sacrosanto e vincente ma, purtroppo, poco competitivo a livello globale, dove i grandi colossi cercano di continuo di acquisire nuove teste di ponte per entrare in nuovi mercati, se non differenziando la propria produzione per lo meno cercando di comprare aziende del proprio ramo.
Tutto ciò denota la poca audacia del nostro capitalismo e la forsennata rincorsa ai ripari quando le cose si mettono male. Anche se non è detto che poi l'acquisto di Parmalat da parte dei francesi porterà danni alla nostra economia, di sicuro porterà ad una minore capacità di fare sistema, in questo caso nel campo agroalimentare. La tattica preservativa del nostro capitale è tipica italiana che, salvo alcune grandi compagnie, non è davvero mai entrato nell'economia globale, puntando poco e male le proprie fiches.
E' anche vero che in un paese come il nostro, dove la politica è vecchia e deficitaria nel campo economico, scommettere i propri soldi per vederseli poi succhiare in tasse non è proprio il massimo dell'aspirazione. Questo rende ancora più urgente un rinnovamento che non so quando e soprattutto da dove debba arrivare. Può sembrare retorico, ma molti di quelli al comando, sia nell'economia che nella politica, sono iniziati a marcire e se i nuovi non si danno una mossa, a costo anche di dover defenestrare le cariatidi, il paese e noi tutti marciremo con loro.

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