martedì 10 marzo 2009

La miopia della giustizia internazionale e la tragedia del Darfur.


Il tribunale penale internazionale dell Aja ha spiccato un mandato di cattura nei confronti di Omar Hassan al-Bashir, presidente del Sudan. Dal 2003 nel paese subsahariano imperversa un cruento conflitto che vede contrapposti i Janjawid, nomadi di etnia Baggara (miliziani islamici a cavalllo), a le altre tribù di etnia non Baggara dedite all'agricoltura. La guerra, che ben presto si è tramutata in un'emergenza umanitaria, ha fatto registrare finora circa 400.000 vittime, per lo più morti per fame, sete e malattie. La leggittimità del provvedimento, nato da una richiesta del procuratore Luis Moreno-Ocampo, non è in discussione. Bashir neanche troppo velatamente ha sempre appoggiato i Janjawid, che nel corso degli anni, e proprio grazie all'appoggio governativo, hanno perpetrato un orrendo genocidio della popolazione non Baggara.


In discussione è l'utilità di un simile provvedimento. Come si è già potuto sperimentare in altri casi simili, i despoti, colpiti da questi mandati internazionali, non vengono quasi mai perseguiti finchè sono al potere. L'unico riscontro pratico si è avuto nella decisione di Bashir di espellere tutte le organizzazioni umanitarie presenti nel paese, le uniche dedite alla cura di coloro che fuggono dal conflitto, stipati in condizioni inumane nei campi profughi. A questo punto una domanda sorge spontanea e prepotente: chi fornirà loro il cibo, l'acqua e le pur scarse medicine, necessarie alla sopravvivenza? Il procuratore Ocampo? Credo di no.


Una soluzione a questa immane tragedia va trovata! Ma non può che essere una soluzione politica, e non giudiziaria. Perchè il problema, anche se vede dei risvolti importanti in questioni etnico-religiose, è eminentemente politico. Questa lettura ha acquisito ancora più pregnanza da quando nella regione, ricca di materie prime, è entrata con veemenza la Cina. E proprio la Cina, insieme all'Unione Africana, ha condannato fermamente il mandato di cattura. Se in passato un intervento militare, o una forte azione diplomatica statunitense erano opzioni praticabili, con la situazione attuale è impensabile di voler risolvere la questione senza coinvolgere la Cina. Il colosso asiatico, ormai da anni, non segue più una linea ideologizzata in politica estera, e proprio alla pragmaticità della Cina e alla sua capacità di fare affari si deve aggrappare la comunità internazionale, che non potrà però esimersi dall'offrire qualcosa.


Purtroppo attualmente l'unico paese che ha il peso politico necessario per intavolare una trattativa con la Cina, gli Stati Uniti, sono alle prese con una crisi economica che assorbe totalmente l'azione del neopresidente Obama. In queste condizioni, inevitabilmente, la guerra del Darfur torna a viaggiare sottotraccia. Lo si vede anche dai giornali, quelli italiani in testa, che dedicano alla questione poco più che un trafiletto nelle pagine interne. Ma da Obama, di origini africane e dunque sensibile alle questioni della sua terra di origine, ci si aspetta qualcosa, l'Africa si aspetta qualcosa. Fondamentale è non spegnere i riflettori su questa regione che rischia di diventare la nuova faglia di divisione tra occidente e islam. Molti osservatori e intellettuali infatti sostengono che gli accadimenti di questi anni nell'africa subsahariana, sono paragonabili alle vicende che sconvolsero il medioriente nella metà del secolo scorso. E' importante dare visibilità alla tragedia che gli esseri umani del Darfur stanno vivendo. Non vi possono essere eccidi di serie a e altri di serie. Ogni genocidio è un onta per il genere umano tutto.



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