venerdì 6 marzo 2009




La rivolta di Reggio: una rivolta di popolo.



14 luglio 1970. A Reggio Calabria esplode una violenta e sanguinosa rivolta popolare in seguito alla decisione, del governo di centrosinistra sostenuto dalla Dc e dal Psi, di assegnare il capoluogo di regione a Catanzaro, frustrando le legittime aspettative dei reggini। Quella decisione, che negava un sacrosanto diritto della città sullo stretto, venne vista dalla gente comune come un ennesimo smacco, una truffa: il reiterato menefreghismo del potere centrale, che in quella occasione “doveva” essere contestato। Per popolazione, storia e cultura, nessuna città calabrese avrebbe potuto assurgere al rango di capoluogo al posto di Reggio Calabria. Ma in Italia si sà, il banale non è mai tale e lo stesso vale per l'eccezionale. Quello che a tutti o quasi i calabresi sembrava scontato, non aveva fatto i conti con due elementi che al tempo dei fatti furono determinanti: lo scarso peso del referente politico reggino - il Dc Sebastiano Vincelli- in seno alla coalizione di governo; e la ben più corposa influenza del segretario del Partito Socialista ed ex ministro dei lavori pubblici, Giacomo Mancini, del ministro della pubblica istruzione, il democratico cristiano Riccardo Misasi e del deputato Dc Antoniozzi, cosentini i primi due, catanzarese il terzo. Non è difficile immaginare come, in sede di governo, si sia arrivati all'assurda decisione di non assegnare il capoluogo a Reggio, tenendo conto del particolare interesse dei rappresentanti, vicini a Catanzaro.


In quel periodo il mezzogiorno d'Italia e la Calabria in testa, erano alle prese con una profonda crisi economica, sociale e di rappresentanza politica। La carenza di lavoro - non più di 5।000 persone in tutta la regione erano stabilmente impiegate in grosse aziende - aveva generato un enorme flusso di migranti verso il nord Italia e l'estero, comportando lo spopolamento delle zone interne. A Reggio Calabria, 12mila persone vivevano ancora in delle casupole che erano poco più che baracche, molte delle quali risalenti al grande terremoto del 1908. A ben vedere e senza esagerare, si può affermare che la Calabria era tra le regioni più povere e dimenticate di tutta la penisola. La prospettiva del capoluogo tanto attesa, si sarebbe dovuta concretizzare, in termini occupazionali, con numerosi posti di lavoro nel campo della pubblica amministrazione. La vulgata comune che derubrica la rivolta di Reggio a mero campanilismo è dunque infondata. Ma purtroppo nel corso degli anni si è spesso sotteso a questo aspetto, fino ad arrivare alla definizione di rivolta “fascista”. Si, perchè di questo oggi si parla, ed è questo che la maggior parte delle persone pensa dei fatti di Reggio.


Quando la contestazione scoppiò era molto lontana l'idea di una sommossa violenta. Il destino di dieci mesi d

i lotta si determinò all'indomani della decisione che penalizzava Reggio: un gruppo di giovani in segno di protesta nei confronti del governo cercò di occupare la stazione ferroviaria. La polizia r

ispose con inaudita violenza, provocando molti feriti e arrestando decine di persone. Da quel momento la situazione, già infuocata dal risentimento popolare per le condizioni sociali disperate in cui versava la città, si caricò dell'ulteriore e determinante disprezzo per un autorità pubblica, che oltre a non far niente per migliorare le condizioni di vita, aggrediva i manifestanti sostanzialmente pacifici. La situazione sfuggì definitivamente di mano alle autorità quando, nella stessa giornata, una folla inferocita si riversò in Piazza Italia per chiedere il rilascio degli arrestati, e la polizia ebbe la splendida idea di disperdere l'assembramento con il manganello. Da quel momento la città divenne un inferno: barricate per le strade, questure assaltate, uf

fici pubblici dati alle fiamme e tanti tanti feriti. Le contestazioni furono avallate dal sindaco Battaglia (Dc), mentre tutti i partiti di sinistra, ad esclusione del Psiup, in linea col governo condannarono fermamente i sommovimenti. Dapprincipio anche l'estrema destra, con l'Msi locale in testa, definì i manifestanti teppisti e cialtroni, ma quando il comitato d'azione locale finì sotto il controllo del segretario generale della Cisnal (sindacato vicino all' Msi), Francesco detto “Ciccio” Franco, si schierò con la sollevazione. Innegabili a questo punto le colpe della sinistra, rappresentata in primis dal partito comunista che lasciò nelle mani dell'Msi le sorti della rivolta. I fascisti infatti non si fecero scappare l'occasione di acquisire legittimità politica, anche a livello nazionale, e appoggiarono Ciccio Franco. E' da questo momento che il movimento reggino, fino ad allora assolutamente apolitico e spontaneo, prende il nome dei “boia chi molla”, rinverdendo l'omonimo moto Dannunziano che occupò Fiume subito dopo la Grande Guerra. La completa estraneità del movimento - che inglobava in unico e spontaneo anelito di rivalsa, commercianti, operai e donne di ogni estrazione politico/sociale - alle logiche di partito e di schieramento politico, è confermata dall'appartenenza alla Cgil della prima vittima della polizia, Bruno Labate. Mentre la destra calabrese cavalca la rivolta, la sinistra locale e nazionale si trova spaccata su tutti i fronti. Il Partito Comunista condanna le agitazioni e invoca il ripristino dell'ordine pubblico. Emblematico è l'intervento di Alfredo Reichlin che fa un netto distinguo tra la lotta reg

gina e quella di Avola e Battipaglia, sostenendo che a Reggio si è venuto a creare “un moto eversivo di destra, organizzato e diretto consapevolmente, da un blocco di forze reazionarie impaurite a morte dall' avanzata difficile, faticosa, ma certa, di una situazione politica nuova anche in Calabria”. La miopia politica del gruppo dirigente comunista è troppo palese per non suscitare qualche sospetto. E l'ambiguità viene subito colta dal gruppo de il Manifesto, nettamente contrario alla posizione del Pci. Per mezzo della penna di Valentino Parlato, infatti, il giornale scissionista corrobora la tesi della trasversalità politica del movimento, sostenendo che non è necessario “ molto sforzo, né ricerca di precedenti storici, per sostenere che a Reggio vi è stata soprattutto, una esplosione di collera popolare. Nell’assenza, o nell’estremo logoramento di qualsiasi organizzazione di classe, questa esplosione è stata irretita in quel complesso di complicità parassitaria e reazionaria che domina la cosiddetta società civile delle città meridionali, ed ha avuto una gestione di destra. [...] Reggio può rientrare nella cosiddetta strategia della tensione [...], ma credere che per tre mesi migliaia di persone si siano mosse a Reggio solo per un complotto di destra è contro ogni logica”. Parlato inoltre rincara la dose con un’accusa ancora più grave verso gli ex-compagni comunisti, testimoniandone la doppiezza e portando alla luce il piano della strategia politica del Pci nei confronti del Psi। Secondo tale interpretazione dei fatti, il Pci per favorir

e il dialogo con il partito socialista, in Calabria rappresentato dal ministro Mancini, avrebbe “sacrificato” il proprio impegno a Reggio appiattendosi su posizioni filo-governative, invocando il ripristino dell’ordine pubblico.


Dalle indecisioni della sinistra, l'Msi ricavò, in termini elettorali, un notevole vantaggio inizian

do a volare vertiginosamente su picchi superiori al 50 per cento - mentre fino a poco prima, e su scala nazi

onale, quel movimento a stento raggiungeva il 4 - grazie alla figura di Ciccio Franco, oggi ricordato con una stele sul Lungomare che è il “Chilometro più bello d’Italia”। La rivolta di Reggio terminerà nel febbraio del 197

1 quando il Presidente del Consiglio Emilio Colombo annuncia che a Reggio Calabria sorgerà il quinto centro siderurgico nazionale con un investimento di tremila miliardi e oltre diecimila posti di lavoro. La città e i Reggini accettano la proposta, e dopo pochi giorni l’esercito entra in città con i carri armati che sgomberano le strade dalle barricate diventate in alcuni casi veri e propri muri innalzati dai rivoltosi. Qualche anno dopo, nel 1975, si terrà un processo contro gli animatori della rivolta.

Ciccio Franco, diventato nel frattempo senatore missino, e i suoi seguaci, verranno ritenuti colpevoli d'istigazione a delinquere, apologia di reato e diffamazione a mezzo stampa, e condannati a un anno e quattro mesi di reclusione.



Si concluse così, non senza strascichi, una delle vicende più complesse ma al tempo stesso più spontaneamente popolari della nostra storia repubblicana. Purtroppo ancora nello scorso gennaio, in occasione della visita a Reggio del Presidente Giorgio Napolitano, Pietro Mancini, figlio di Giacomo Mancini, l'ex segretario del Psi, bollava i moti di Reggio come una rivolta “fascista”. E se ancora oggi vengono usati simili epiteti per qualificare quei fatti, molte delle cause sono da ricercare nella scarsa lungimiranza espressa all'epoca da gran parte della sinistra, che nel corso degli anni si è inoltre macchiata di un becero ostruzionismo praticato nei confronti della ricerca storica, unica deputata alla discoperta della verità. Voglio concludere questo mio breve scritto con le parole di Pierre Carniti, che sul palco della Conferenza del Mezzogiorno, tenutasi nel 1972 a Reggio Calabria, davanti un mare di operai accorsi da tutta Italia per testimoniare la propria solidarietà alle genti della rivolta, in un ideale riconsegna della città al popolo reggino e meridionale dirà: “ Oggi non sono calati a Reggio, amici e compagni di Reggio, i barbari del Nord, ma con gli impiegati e con gli operai del Nord sono tornati a Reggio i meridionali!"


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