venerdì 29 marzo 2013

Somari d'Italia unitevi. Nel nostro paese l'80 per cento della popolazione è analfabeta o semi-analfabeta

Sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica oggi c'era un articolo sull'analfabetismo, diffuso, nel nostro paese. Incuriosito dalla notizia ho fatto qualche ricerca su internet e sono rimasto allibito da quello che ho trovato.
Una premessa: come molti di voi, penso, anche io ero convinto che ormai in Italia l'analfabetismo fosse un problema appartenente al passato,ormai debellato e alieno alla nostra contemporaneità. In effetti la questione oggi è differente rispetto all'inizio del secolo scorso, quando lo stato ha iniziato seriamente l'opera di alfabetizzazione della società italiana. Il problema odierno è rappresentato dall'analfabetismo di ritorno. Dalla perdita di capacità di comprensione di un testo, nonostante la scolarizzazione, dovuta al fatto che dopo aver concluso il proprio percorso scolastico in molti nel nostro paese hanno totalmente, o quasi, abbandonato la pratica della lettura, anche nelle sue forme più semplici.

I dati riportati da La Repubblica sono frutto di uno studio condotto dalla ALL (Adult Literacy and Life skills), un progetto internazionale di ricerca sui nuovi analfabetismi, che ha analizzato un campione di persone compreso tra i 16 e i 65 anni in sette paesi: Bermuda, Italia, Norvegia, Stati Uniti, Messico, Svizzera e Canada. I dati venuti fuori dallo studio sono sconcertanti, a dir poco. 
In pratica solo il 20 per cento di italiani è in grado di leggere e capire un testo di media lunghezza. Il 5 per cento è completamente analfabeta (non è in grado di comprendere l'etichetta di un medicinale) e circa la metà della popolazione possiede solo le capacità minime di lettura e comprensione (durante lo studio a queste persone è stato dato da leggere un breve testo su di una pianta ornamentale, con due informazioni differenti. Questi soggetti non sono riusciti a distinguere le due parti). Il restante 33 per cento di nostri concittadini ha "un possesso della lingua molto limitato" (non hanno compreso un testo che spiegava come montare il sellino di una bicicletta). Siamo, in sostanza, un popolo di semi-analfabeti. E la cosa più difficile da accettare è che, secondo queste ricerche, per la maggior parte delle persone che si trovano in queste condizioni, il non comprendere ciò che si legge non è un problema. Questa incoscienza, rispetto al passato, quando l'essere illetterati comportava vergogna, è dovuta anche ai nuovi mezzi tecnologici che utilizziamo quotidianamente. Naturalmente smartphone, tablet, pc etc non sono direttamente responsabili di questa ecatombe culturale. La tecnologia ha l'unica "colpa" di agevolare la vita di coloro non sono capaci di leggere e capire. Sopperisce, dunque, a mancanze che in passato relegavano le persone a ghetti culturali ed economici, mentre oggi i confini sono molto più sfumati, quasi nulli E mentre in passato l'analfabetismo era diffuso specialmente tra le fasce più povere del mezzogiorno, oggi questa condizione interessa in maniera uniforme tutta la società italiana, da nord a sud, ricchi, meno ricchi e poveri. Nessuno escluso, è un problema generalizzato che non afferisce alla condizione economica di chi ne è vittima. D'altronde basta dare un'occhiata ai dati sui consumi culturali del nostro paese, che in quanto ad acquisto di libri e quotidiani pro-capite in Europa è da anni tra i fanalini di coda.

La realtà presentata da questo studio, per quanto catastrofica, è anche ottimista rispetto ai dati forniti dall'Unla (Unione Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo) in un suo rapporto del 2005. Secondo l'associazione italiana tra il 20 e il 25 per cento degli studenti che escono dalla scuola media inferiore non sa leggere e scrivere. Il 12 per cento di italiani - circa 6 milioni - è completamente analfabeta e non è in possesso di nessun titolo di studio. Più in generale, sempre secondo il rapporto Unla, circa 36 milioni di nostri concittadini sono analfabeti, semi-analfabeti o analfabeti di ritorno non in grado di affrontare, adeguatamente preparati, le sfide che il mondo contemporaneo pone alle varie società nazionali. Una vera e propria palla al piede culturale per il nostro paese, che fa sentire tutto il suo peso anche e soprattutto nelle cose che riguardano la vita pubblica. L'ultimo sentomo rilevabile è la situazione politica che stiamo vivendo in questi giorni, ma che affonda le proprie radici nel ventennio berlusconiano. Un periodo in cui, diciamoci la verità, il nostro paese non ha brillato su molti fronti. Quest'emergenza sociale è più grave dal centro-Italia fino al sud e alle isole. Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Campania, Sardegna, Umbria sono regioni con una popolazione analfabeta, senza alcun titolo di studio, che supera l’8%.

Tullio De Mauro, docente all'università La Sapienza di Roma, già ministro dell'istruzione dal 2000 al 2001 e da anni impegnato sul fronte della ri-alfabetizzazione, in un'intervista rilasciata il dicembre scorso al quotidiano Il Messaggero sostiene che «sulla nostra vita associata il livello di incultura della popolazione adulta pesa enormemente». Tradotto vuol dire che l'Italia è ostaggio della maggioranza di persone che non hanno i mezzi culturali minimi per discernere scientemente su cosa è meglio per il paese (in poche parole votano senza conoscere). E naturalmente sono una zavorra per lo sviluppo, non solo umano, ma anche economico dell'intera società italiana. Per Tullio De Mauro «il quadro è drammatico. Effettivamente -continua il docente- i dati che vengono fuori per il nostro Paese possono essere definiti catastrofici. Queste indagini vengono condotte osservando il comportamento dinanzi a sei questionari graduati e vedendo come gli interpellati rispondono, se rispondono, a richieste di esibire capacità di lettura e comprensione, scrittura e calcolo. È interessante notare che in tutti i Paesi ci sono fenomeni di regressione in età adulta rispetto ai livelli formali». Oltre alle ovvie conseguenze, tutto ciò preclude ad un'ampia fetta di popolazione anche l'accesso al lavoro qualificato, di cui un'economia avanzata come la nostra avrebbe enorme bisogno. De Mauro sostiene che la regressione alfanumerica, se dopo gli studi non si leggono libri o giornali, è un fattore «fisiologico che interessa ogni paese. Ma l'Italia è alla patologia - continua l'ex ministro dell'istruzione-. I nostri dati sono impressionanti. Un 5% della popolazione adulta in età di lavoro – quindi non vecchietti e vecchiette, ma persone tra i 14 e i 65 anni – non è in grado di accedere neppure alla lettura dei questionari perché gli manca la capacità di verificare il valore delle lettere che ha sotto il naso. Poi c’è un altro 38% che identifica il valore delle lettere ma non legge. E già siamo oltre il 40%. Si aggiunge ancora un altro 33% che invece legge il questionario al primo livello; e al secondo livello, dove le frasi si complicano un pò, si perde e si smarrisce: è la fascia definita pudicamente ”a rischio di analfabetismo”. Si tratta di persone che non riescono a prendere un giornale o a leggere un avviso al pubblico – anche se è scritto bene, cosa tutta da vedere e verificare. E così siamo ai tre quarti della popolazione».In conclusione per De Mauro tutto ciò avviene perchè «per quanto le scuole possano lavorare, i livelli di competenze delle famiglie e più in generale della società adulta si riflettono massicciamente sull’andamento scolastico dei figli. Quindi riuscire a comprendere quanto sia rilevante il problema della scarsa competenza alfanumerica degli adulti significa anche capire quanto la nostra scuola lavora, per così dire, in salita. L’insegnante che cerca di occuparsi del ragazzino o della ragazzina che viene da una famiglia in cui mai sono entrati un libro o un giornale fa una fatica spaventosa; così la scuola deve svolgere un compito immane. Negli altri Paesi esistono degli eccellenti sistemi di educazione permanente. Da noi siamo a zero».

Questa realtà sconvolgente ci fornisce anche una spiegazione del perchè, come sistema paese, siamo così in crisi. E' inutile nascondercelo, l'Italia è un paese in regressione culturale, più che in recessione economica. Siamo stati per secoli il faro morale e culturale del mondo occidentale, ma oggi il nostro peso su ciò che avverà in futuro, sia in termini economici che politici che di influenza sugli stili di vita, è praticamente inesistente. E questa realtà è frutto dell'inadeguatezza con cui è stata amministrata la cultura e l'istruzione nel nostro paese negli ultimi decenni. Non abbiamo un sistema scolastico efficiente. Le persone terminano gli studi e non si interessano più alla comprensione profonda dell'esistente. La maggior parte degli individui si limita alla superficie che gli viene proposta per lo più dalla Tv. Non abbiamo intellettuali di spicco, anche perchè proprio la figura del pensatore è spesso dileggiata e snobbata dall'informazione mainstream. Nel corso della seconda metà del '900 abbiamo avuto personalità del calibro di Pasolini, Calvino, Montale, De Andrè, Sciascia, solo per citare alcuni letterati. Oggi la destra rifugge dalla figura dell'intellettuale, quasi fosse un'offesa indicare qualcuno come pensatore, e a sinistra la personalità di riferimento è Roberto Saviano. Senza nulla togliere a Saviano, ma è possibile che uno che ha scritto un solo libro, per di più di inchiesta giornalistica, debba assurgere al rango di intellettuale di riferimento per un'intera area politico-culturale? Purtroppo siamo messi così e, pare, ci piace tanto sguazzare in questa palude di ignoranza dominante. Avremmo bisogno, come a inizio secolo scorso, di un nuovo programma di ri-alfabetizzazione della popolazione. O semplicemente una riforma reale e  ben fatta del nostro sistema scolastico.


1 commento:

  1. Ciao, ho letto con molto interesse questo post e devo dire di essere molto d'accordo su quasi tutto. Non lo sono in effetti su quel solito dare la colpa a Berlusconi di qualsiasi grana. Ma dico io, se i problemi, siano essi di carattere sia economico che politico che culturale, colpiscono moltissimi altri Paesi anche se in misura minore, com'è possibile che sia sempre e solo colpa di Berlusconi? A me sembra una comoda scappatoia, il classico capro espiatorio. Credo che andrebbe fatta un'analisi più profonda del mero "tutta colpa di B". E lo dico da uno che ha votato a sinistra, se così vogliamo chiamarla, per la quasi totalità della propria vita. Secondo me sono proprio queste facili spiegazioni che fanno male al Paese. "Ah ma è tutta colpa di B, si sa". Cioè ora "B" è fuori da quasi quattro anni e lo rimpiango! Si stava meglio quando si stava peggio. Dati alla mano. Ma tant'è. Comunque, grazie per il post e lo spazio concessomi.

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