domenica 20 dicembre 2009

Charlie "Bird" Parker, il signore del bop


E' difficile non ripiangere la morte prematura di the Bird. A soli 34 anni stroncato dagli stravizi e da un'anima in pena che trovava sollievo solo nell'eroina e nel fiume di musica che usciva dal suo sax. Quanto ancora avrebbe potuto rgalarci questo fantastico sassofonista? Insieme a Dizzy Gillespie, trombettista, avviò una vera e propria rivoluzione nel mondo della musica jazz, troppo ancorata ai classicismi, e in contrapposizione allo swing, lo smielato jazz dei bianchi. Fu l'invasione del Bebop, in seguito Bop. Con altri interpreti rimasti nella storia della musica, come Charles Mingus, Lester Young,Coleman Hawkins, Max Roach, Bud Powell, Count Basie e altri ancora, infuocò le notti nei jazz club di New York. Ancora oggi è difficile trovare un sassoonista le cui dita letteralmente volano sulle chiavi come fossero slegate dal corpo. E allora, in memoria di Charlie Junior Parker, detto the Bird, il signore del Bop:

(Per chi vuole saperne di più consiglio la visione dl film, diretto da Clint Eastwood, Bird, la storia di Charlie Parker).










Arrestato per lo stupro di un bambino, dopo 35 anni viene scarcerato perchè è innocente




Dopo essere stato accusato dello stupro di un bambino di 9 anni, e aver passato 35 dei suoi 54 anni in carcere, ieri James Bain è stato liberato da un tribunale della Florida. A decretarne l'innocenza è stata la prova del Dna, non ancora in uso al tempo dell'arresto.

All'epoca dei fatti, era il 1974, Bain fu riconosciuto colpevole grazie alla testimonianza, della vittima, cioè un bambino di nove anni in evidente stato di confusione. Nonostante per l'ora del fatto avesse un alibi, Bain, afroamericano, fu condannato all'ergastolo.

Dopo aver lottato per molto tempo da solo, del caso di James Bain hanno iniziato a occuparsi gli avvocati di Innocent projects, un'organizzazione che cerca, dov'è evidente la scarsezza di prove, di arrivare alla verità e alla scarcerazione di persone ingiustamente condannate.

Questo è solo uno dei 247 casi negli Stati Uniti, di persone ingiustamente condannate e poi scarcerate. Ma nessuno era rimasto così a lungo dietro alle sbarre.
Pensate un pò a quanti, invece che condannati a pene detentive, hanno ricevuto la sentenza di morte nonostante fossero innocenti. Dal 1973 ben 129 detenuti finiti nel braccio della morte, in seguito all'emergere di nuove prove, sono stati rilasciati. E su tanti la cui innocenza viene dimostrata è impossibile fare una stima di quanti, invece, sul patibolo ci sono arrivati, da innocenti.

Tutti questi casi hanno un solo comune denominatore: prove confuse, testimoni non attendibili, indagini non accurate e inadeguata assistenza legale. Per molti di questi, non per tutti, c'è un altro elemento comune che da sempre istiga le giurie americane a decidere per la colpevolezza: il colore della pelle. Anche James Bain era nero, e se oggi il razzismo negli Stati Uniti si è comunque attenuato, pensate un pò cosa doveva essere nel 1974, per un nero, affrontare un processo in Florida con un testimone che è sicuro della sua accusa: condanna certa, o quasi.

Il problema è semplice, ma allo stesso tempo spinoso e fondamentale: per il bene della società e per la sua sicurezza è più importante arrivare, nonostante la poca fondatezza delle prove, a una sentenza, oppure cercare di non condannare un innocente? Fate voi.

venerdì 18 dicembre 2009

Un anno di Civico zero, all'insegna dell'accoglienza e della salvaguardia dei minori di strada

Tutte le foto utilizzate per il servizio sono state scattate da Marco Iegri per Save the children: nelle foto Manuel e Diego, ragazzi rom bosniaci, e ragazzi non accompagnati a Roma.



Roma è una delle città italiane con il maggior numero di minori stranieri non accompagnati. Ragazzi che giunti da soli nel nostro Paese spesso vivono in condizione di estrema povertà, e sono dunque notevolmente esposti al rischio di abusi e sfruttamento. Nella capitale, però, dal dicembre dello scorso anno c'è una struttura che si occupa di dar loro sollievo dalle fatiche della strada: un pasto caldo, la possibilità di cambiarsi, di fare una doccia e di entrare a contatto in modo sereno con i loro coetanei. Il suo nome è Civico zero, e si trova nel quartiere di san Lorenzo. All'interno sono evidenti i segni del passaggio di ragazzi di varie culture e nazionalità. Graffiti con scritte in arabo, romeno e poesie appese ai muri nelle lingue più disparate. L'aria che si respira è accogliente e, nella geografia urbana dei ragazzi stranieri di strada, questo è un luogo su cui contare. «Molti ragazzi arrivano in condizioni davvero difficili – ci dice Mohammad Musavi, un educatore di Civico zero-. Alcuni addirittura con la scabbia e diverse piaghe sul corpo, a causa della vita di strada. Quello che facciamo noi, come prima cosa, è fornire adeguate cure mediche e la possibilità ai ragazzi di lavarsi e consumare un pasto caldo». Mohammad è un giovane di origine afgana di ventidue anni, in Italia da quattro. La sua storia è simile a quella di molti altri minori che frequentano il centro, con la differenza che lui ce l'ha fatta.. E' la prova vivente che, con un adeguato percorso di accoglienza e integrazione, si può aspirare a condurre una vita degna e soddisfacente. «Dopo il primo approccio -continua Mohammad- cerchiamo di guadagnarci la fiducia del ragazzo, offrendo un internet point gratutio e diversi laboratori e attività creative. Abbiamo anche una palestra. In seguito cerchiamo di capire le intenzioni del minore, il suo progetto migratorio, e per quanto possibile lo indirizziamo a scegliere la strada migliore, anche con l'ausilio di un avvocato per la consulenza legale». Nell'ambito del progetto civico zero, da ottobre 2008 ad oggi, sono stati contattati e seguiti oltre 1200 ragazzi, di cui 534 sono stati supportati all'interno del centro diurno di San Lorenzo e 315 nelle attività su strada. Il fine è quello di fornire un sostegno ai minori che vivono in condizioni di marginalità sociale, e a forte rischio di devianza. «Il nostro intento -ci dice Laura Lagi, coordinatrice del progetto- è quello di rendere il più possibile accessibile la struttura. Lavoriamo anche con neo maggiorenni, e cerchiamo di agganciare il maggior numero di ragazzi andando anche per strada a fornire assistenza e a spiegare come opera il centro. Non vogliamo sostituire il lavoro degli enti locali -conclude la Lagi-, al contrario cerchiamo di integrarlo e renderlo più efficiente». Mentre parliamo la mattinata scivola via fredda, e il centro si va riempiendo. Iniziano ad arrivare i ragazzi e immediatamente si fiondano sui computer con la connessione ad internet. «Purtroppo molti sono delusi della loro esperienza italiana – dice Mohammad-. Il problema è che spesso per strada incontrano delle persone grandi che non hanno avuto fortuna, oppure sono finite a delinguere. Così cresce in loro la voglia di andare via.. E' bello però -conclude l'educatore- vedere i ragazzi che si impegnano nelle attività quotidiane. Che costruiscono piccoli oggetti di uso comune, che socializzano con propri coetanei». Con la speranza che tra questi giovani, un giorno, ci siano tanti nuovi Muhammad.


Pubblicato su Terra il 18/12/2009

Primo rapporto annuale di Save the children sui minori stranieri in Italia: in pericolo sono soprattutto i ragazzi non accompagnati



L'immigrazione minorile in Italia è in costante aumento. E' quanto emerge dal primo rapporto annuale sul fenomeno realizzato da Save the children che, dopo cinque anni di lavoro sul fronte dell'assistenza e della salvaguardia dei giovani stranieri arrivati nel nostro Paese, ha tentato di sistematizzare il fenomeno. “Questo rapporto è molto importante perchè permette di comprendere meglio il problema per poter poi realizzare interventi più efficaci”. A parlare è Valerio Neri, direttore generale di Save the children Italia, che sottolinea come sulla questione ci sia una “vasta confusione”: “è indispensabile – afferma Neri- distinguere tra le varie realtà in cui vivono i minori. Tra quelli residenti in Italia, nati nel nostro Paese o che hanno raggiunto i propri genitori grazie al ricongiungimento famigliare, e altri definiti "non accompagnati", arrivati da soli. E' su questi ultimi - continua il direttore dell'organizzazione - che si concentrano la maggior parte dei nostri sforzi, in quanto più esposti al rischio di sfruttamento e violenze”. Dal 1 gennaio 2004 alla stessa data dell'anno in corso, secondo dati suscettibili di errore, il numero di minori residenti in Italia tra regolari e irregolari è notevolmente cresciuto, passando da 412.432 a 862.452. A questi vanno aggiunti i minori non accompagnati, segnalati dai pubblici uffici e dagli enti sanitari e di assistenza, che raggiungono la considerevole cifra di 6.587 unità (anche questi dati non possono considerarsi completi, data la difficoltà ad arrivare a tutti i minori presenti sul territorio nazionale). Di questi ben il 77 per cento ( 5.091) sono sprovvisti di documenti di identità. Provengono da 77 paesi diversi, con una netta preponderanza del continete africano: i più numerosi vengono dal Marocco (15 per cento), dall'Egitto (14), dall'Albania e dall'Afghanistan (11). Quasi sempre si tratta di bambini e adolescenti che hanno dovuto affrontare viaggi lunghi e faticosi e non sempre, una volta arrivati a destinazione, hanno le idee chiare. Spesso il loro, più che un vero e proprio “progetto migratorio”, assomiglia a una fuga, soprattutto se provengono da paesi in cui c'è la guerra. Nel 2008 il 95 per cento di loro è sbarcato in Sicilia, mentre Ancona e Venezia sono le porte d'accesso per quelli che provengono dall'Afghanistan. Gorizia è invece lo snodo per i minori dell'est, spesso vittime di tratta destinata alla prostituzione. Una volta in Italia, in particolare coloro che arrivano in Sicilia, vengono accolti nelle comunità di accoglienza, ma molti dopo un breve periodo fuggono. Tra maggio 2008 e febbraio 2009 su un totale di 1860 sono stati in 1119 a scappare. A condurre i minori a rifiutare l'accoglienza spesso è la necessità di guadagnare denaro. Capita infatti, specie per i ragazzi provenienti dall'Egitto che, per pagare il viaggio della speranza, le famiglie si indebitino con i trafficanti, rischiando ritorsioni in caso di mancato pagamento. E cosi i ragazzi, in dovere verso la propria famiglia, accettano qutalsiasi tipo di lavoro diventando facili prede degli sfruttatori, condizione dalla quale è fondamentale sottrarli.



Pubblicato su Terra il 18/12/2009

sabato 7 novembre 2009

Il Rototom sunsplash lascia il Friuli Venezia Giulia. Addio al più grande festival reggae d'Europa





E' ufficiale, dall'anno prossimo il Rototom sunsplash non allieterà più l'estate friulana, e molto probabilmente lascerà l'Italia. Dopo vent'anni, la manifestazione che ha fatto conoscere il Friuli a tanti ragazzi, di tuta Europa smonta le tende e fà le valigie. C'è chi dice che verrà spostato in un'altra regione e chi addirittura parla della Spagna, in particolare Barcellona. L'appuntamento estivo di musica e cultura reggae è dunque caduto sotto la mannaia della repressione che ormai da anni colpisce il nostro paese. Il presidente dell'associazione Rototom, Filippo Giunta è stato, infatti, denunciato per istigazione all'uso delle droghe, secondo l'aricolo 79 della legge Fini-Giovanardi. Rischia da tre a dieci anni di reclusione, mentre per il sindaco di Osoppo, il comune nel quale si teneva il festival, potrebbe avviarsi un procedimento per abuso d'ufficio, solo per aver dato la possibilità ai partecipanti della manifestazione di servirsi dell'area campeggio.

Secondo l'accusa il Rototom istigherebbe all'uso di marjuana e hascisc solo per il fatto di essere un festival reggae. In pratica chiunque, da oggi in poi, mette su un disco reggae è passibile di denuncia. Una vera follia, ma che è indice di quello che succede oggi in Italia. Questa è solo una goccia nel mare di repressione e violenza adottata dallo Stato per reprimere i conflitti che in lungo e in largo attraversano la nostra società. Di fronte alla crisi economica si parla di fornire liquidità alle banche, di far ripartire la produzione e di diminuire il deficit, tutte cose legittime per carità, ma al mare di poveracci che abitano le periferie delle grandi città, o che si ritrovano a condurre un'esistenza anonima in province sperdute, a loro è riservato solo il bastone degli sgherri del potere costituito. Ultimo, in ordine di tempo, l'assassinio di Stefano Cucchi ad opera, quasi sicuramente, delle forze dell'ordine. Siamo dei polli in batteria. Ci fanno ingrassare con la loro monnezza e non ci è permesso nemmeno divrtirci e consumare, a nostro rischio e pericolo, droghe leggere. Nè tantomeno ascoltare musica che, secondo i cervelloni al governo, istigherebbe all'uso di cannabis e altre sostanze. Possiamo allora dire che l'uso della violenza da parte della polizia, istiga alla violenza da parte di chi la subisce? Il futuro è cupo, aspettiamoci molta, ma molta violenza. Un grazie allo Stato, che pensa alla nostra felicità e al nostro benessere.

Il 13 novembre parte da Udine la «campagna nazionale di libertà» indetta dal Rototom: musica, incontri e interventi con il titolo «Non processate Bob Marley». E il sindaco di Udine, Furio Honsell, dice: «Perdere il Sunsplash di Osoppo sarebbe per la nostra regione un impoverimento sul piano culturale ed etico prima di tutto. La cultura del Sunsplash promuove l'antirazzismo e l'anticoloniasmo attraverso dibattiti e forum di altissimo livello. Grazie al Rototom il Friuli Venezia Giulia è entrato in contatto con altre culture, aprendosi alla costruzione di una dimensione culturale planetaria che oggi è in gioco».


Rassegnamoci, non vedremo più gente così felice per le strade di Osoppo. Peccato!!!

giovedì 29 ottobre 2009

La morte di Stefano Cucchi: ennesimo omicidio di Stato? Pubblicate dalla famiglia alcune foto che testimoniano il massacro del ragazzo

Come la mettiamo la mettiamo lo Stato italiano ha una responsabilità enorme nella morte di Stefano Cucchi. Il giovane romano, fermato dai carabinieri giovedì 16 ottobre perchè in possesso di circa venti grammi di hashish, dopo essere passato per il carcere di Regina Coeli e il nosocomio Fatebenefratelli, il 22 ottobre è deceduto all'ospedale Sandro Pertini, mentre era ancora sotto stato di fermo. Allucinanti le sue condizioni al momento della tumulazione: la famiglia ha distribuito ai giornalisti accorsi oggi all'udienza indetta al Senato per far luce sull'accaduto, delle foto di Stefano in cui, chiaramente, si vedono escoriazioni diffuse per tutto il corpo, la mascella fratturata e il viso tumefatto, con un un occhio rientrato dentro l'orbita. Inoltre c'è il referto del medico legale che parla anche di alcune costole rotte, di 4 vertebre spostate e di sangue all'interno della vescica. In pratica il ragazzo, che al momento del fermo era in perfette condizioni, è passato attraverso un tritacarne. Le foto parlano chiaro. E infatti sembra quantomeno strana la tesi dello stesso medico legale, secondo cui Stefano è morto per "cause naturali" o, come dicono i carabinieri, per una caduta dalle scale in seguito a un attacco di epilessia. Una caduta rovinosa, che sembra essere avvenuta su delle scale piuttosto ripide e incazzate. A queste ipotesi non crederebbe neanche il più fazioso degli interessati. Bisogna dunque appurare chi ha ucciso Stefano Cucchi, e bisogna farlo alla svelta, perchè questo non diventi l'ennesimo esempio di crimine impunito, presumibilmente commesso dalle forze dell'ordine contro un inerme cittadino. Si può stare a parlare da qui fino a domani sera del fatto che il ragazzo avesse avuto già dei precedenti, che era in possesso di droga, che può aver reagito a parole o facendo resistenza all'arresto, ma resta il fatto che lo Stato non ha il diritto di sfiorare nessuno nemmeno con un dito. Tantomeno ucciderlo. Si, perchè di assassinio stiamo parlando, e dei più efferati e atroci, commesso infierendo in maniera brutale su di una vita che a poco a poco si è spenta. Addirittura, e qui la violenza diventà pura crudeltà, durante la degenza del ragazzo, al Fatebenefratelli prima e al Pertini poi, alla famiglia non è stato concesso di vederlo, nè di fare nulla per impedire che morisse. D'altronde, a quanto pare, neanche i medici che lo avevano in cura avrebbero fatto molto. Infatti l'ospedale Sandro Pertini ha un reparto carcerario sprovvisto di sala di rianimazione, e in casi in cui un degente ne dovesse avere bisogno lo si trasferisce in un'altra ala della struttura. Stefano Cucchi non ha mai lasciato il suo letto nel reparto carcerario. Perchè non si è fatto nulla per salvarlo? E qui si scade nel ridicolo, o se vogliamo nell'offesa al dolore dei suoi cari e all'intelligenza delle persone: i medici che lo avevano in cura hanno affermato che il giovane non "ha lasciato che lo curassero, e per impedirlo è rimasto tutto il tempo con un lenzuolo davanti il viso". Ma come, in periodi in cui viene negato a persone senzienti, ma allo stato terminale di una malattia o in coma da decenni, di porre fine alle loro sofferenze, un ragazzo con un lenzuolo davanti il viso, evita qualsiasi obiezione di coscienza e si lascia morire così, senza nessuna ragione? Anche questa parte della storia sembra piuttosto strana. L'ultima anomalia riguarda il presunto rifiuto di Stefano a farsi ricoverare e la decisione di rimanere, nelle condizioni in cui era, in carcere, almeno fino a quando i dolori non lo hanno costretto ad andare in ospedale. Come a dire: questo ragazzo ha deliberatamente scelto di morire.

E' difficile credere a tutto ciò, e saranno molte le persone che non crederanno a queste fandonie. La speranza è che e forze dell'ordine non si ripieghino su loro stesse, come spesso hanno fatto in passato cercando di proteggere dei vili assassini. Abbiano il coraggio di denunciarli. Il silenzio, in questo caso, non gioverebbe nè a loro e ancor meno ai cittadini, che perderebbero del tutto fiducia nell'istituzione preposta alla loro salvaguardia. Quel ragazzo sarebbe potuto essere ognuno di noi. Sarebbe potuto essere un nostro figlio, un parente, un amico, un fratello che per pochi grammi di fumo è stato massacrato. Riflettiamo su questo e non abbandoniamo il caso.

Voglio proprio vedere se i media tradizionali, soprattutto la televisione, parleranno di questa brutta storia. Spero di si. Visto che di alcuni casi di omicidio, vedi Garlasco o Cogne, se n'è parlato per mesi. E un altro appello lo voglio rivolgere a tutti gli studenti dei collettivi romani: non fate casino, giustamente, solo quando toccano uno di voi o quando dei fascisti commettono delle infamità, schieratevi anche a favore di perfetti sconosciuti, perchè rappresentano ognuno di noi.

Qui sotto c'è un elenco di link per saperne di più:

-Articolo pubblicato su Terra: "Nel braccio della morte" di Rossella Anitori. _clikka qui per leggerlo_

- Memoria che ricostruisce i fatti, pubblicata dal sito Linkontro.info
_clikka qui per leggere il pdf_

- Interviste audio, alla sorella di Stefano Cucchi, al padre, all'avvocato che sta seguendo il caso e ad alcuni esponenti politici che si stanno occupando della vicenda _clikka qui_ per accedere alla pagina di Radio Radicale dove sono pubblicate le interviste.


Ecco come lo Stato ci protegge. Le foto diffuse dalla famiglia Cucchi.

sabato 24 ottobre 2009

La carica dei 150.000



Pubblicato su Terra il 24/10/2009


In piazza per unificare le lotte e dire no alla cultura del lavoro usa e getta. Si contavano a migliaia i manifestanti, scesi in strada ieri a Roma per lo sciopero generale indetto dai sindacati di base Cobas, Rdb e Sld. Una moltitudine unita e compatta che ha rimarcato ancora una volta le «pessime condizioni» dei lavoratori in Italia. «Siamo stufi di ricevere questo trattamento - dice Francesca, insegnante precaria da oltre 10 anni in una scuola primaria nella Capitale -. Il governo non ci rispetta né ci stima. L' istruzione nel nostro Paese è ormai allo sfascio. Solo quest'anno i tagli hanno riguardato 40mila persone tra docenti e personale Ata». Un percorso professionale, quello di Francesca, sempre in salita, fatto di graduatorie e attese interminabili, con il cuore in gola: «molti miei colleghi hanno dovuto conseguire più lauree per insegnare - aggiunge - e i costi dei corsi di aggiornamento sono tutti a carico nostro. Ma a quanto pare non basta ad ottenere la tanto agognata stabilità». Alla disillusione di Francesca si somma la rabbia di Patrizia, dipendente di Alitalia sevizi e in cassa integrazione dal dicembre del 2008: «è scandaloso che Cai continui ad assumere personale e consulenti esterni, nonostante ci siano circa 11mila dipendenti in cassa integrazione. Dovrebbero attingere dal bacino dei cassaintegrati». Se poi i tagli alla spesa pubblica vanno a intaccare anche il budget dei vigili del fuoco è facile presentirne le conseguenze. «Noi aiutiamo le persone in difficoltà - dice Tonino, che lavora come pompiere a Roma -, ma come facciamo se siamo senza mezzi, senza gasolio per mandare avanti quei pochi che abbiamo e con stipendi da fame? Ancora non ci riconoscono la categoria “usurante” e se cerchiamo di arrotondare con gli straordinari dobbiamo aspettare più di un anno per vederceli pagati. Cosi non si può andare avanti - conclude -. Abbiamo scelto di riconsegnare le medaglie al valore che ci erano state date dal Presidente della Repubblica. Nella situazione in cui siamo non c'è nulla da festeggiare».


venerdì 23 ottobre 2009

Sciopero generale dei sindacati di base, black out dell'informazione



C'è un dato incontrovertibile in Italia: alcune realtà devono rimanere nella silenziosa tomba in cui letteralmente giacciono. Come per il lavoro precario, sottoposto ai ricatti del grande capitale e del piccolo padrone, e ai quei pochi momenti nei quali lo si cerca di portare all'attenzione dell'opinione pubblica agiata o non consapevole. Oggi per esempio c'è stato in Italia lo sciopero generale dei lavoratori del settore pubblico e privato indetto dai sindacati di base, con una manifestazione che ha portato per le strade di Roma diverse migliaia di persone. Pensate che una cosa del genere abbia potuto minimamente interessare i nostri media? Vi sbagliate di grosso. Tranne La7 nessun telegiornale ha parlato della questione nei titoli di apertura, e nei giornali di oggi la cosa è andata ancora peggio. Sono stato alla manifestazione per riportare alcune voci, testimonianze e preoccupazioni di una moltitudine variegata e indistinta di nostri concittadini che, ve lo posso giurare, non se la passa affatto bene. Ho visto qualche telecamera qua e là, qualche taccuino semivuoto e nient'altro. Al contrario nei giorni scorsi si è parlato fino alla noia di una questione facilmente derubricabile ad aria fritta come la dichiarazione di Tremonti sul fatto che il posto fisso è un valore. Tolto il fatto che poteva ricordarsi prima di pensarla in questo modo, prima cioè di portare il Paese nella situazione occupazionale in cui si trova, dove sono i fatti? Giornali, tv e mediatume vario hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa, e soprattutto a chi vendeva più fumo. Questo per una settimana e più. Poi c'è una manifestazione, uno sciopero e delle rivendicazioni di coloro che sono direttamente interessati al discorso e nessuno alza una penna o un microfono. La Marcecaglia sputa sentenze sulla pelle dei lavoratori ogni giorno e giù fiumi di inchiostro: "ha detto questo, è d'accordo con quello, non la pensa come quell'altro". Gli accenni più convinti della stampa nazionale sullo sciopero hanno riguardato soprattutto i disagi patiti dai cittadini delle grandi città, che non hanno potuto servirsi dei mezzi pubblici e sono rimasti imbottigliati nel traffico. Tutto qua.


La verità è che del lavoro in Italia non frega a nessuno se non a coloro che lo perdono o sono li li. Il lavoro, il valore su cui è fondata la nostra amata Repubblica, è diventato in questo Paese una mera merce di consumo. Con tutti i crismi del proddotto del XXI secolo: facile deperibilità e altrettanto repentina facilità a diventare rifiuto. Purtroppo dietro la data di scadenza ci sono le persone, e le loro storie di quotidiana lotta per la sopravvivenza. La nostra costituzione e diventata davvero inattuale, bisognerebbe ammodernarla e cambiare l'aricolo 1: L'Italia è una Repubblica fatta della pelle dei lavoratori e fondata sulla dilagante disoccupazione.

Il non giornalismo di Giuseppe Cruciani

C'è un certo tipo di giornalismo che si nutre soltanto di roba precotta. Che prende qua e là notizie già belle che cucinate le impasta e le serve, aggiugendoci però le spezie che più gli aggradono. E come se non bastasse, visto che non alza il culo per andare a cercare un bel niente, si permette anche di fare la morale. Questo tipo di cucina mediatica non dovrebbe essere ascritta sotto la voce giornalismo, perchè al massimo è opinionismo. E' il caso di Giuseppe Cruciani, spocchioso consapevole, arrogante per necessità scenica e cinico per natura. Questo "giornalista" conduce una trasmissione radiofonica in onda tutti i giorni su Radio 24, "La zanzara". Una zanzara, però, che non punge, anzi cauterizza tutto. Un balsamo. Non c'è cosa, più o meno recondita, che Cruciani non minimizza o smonta del tutto. In pratica qualsiasi tesi storica, politica o giudiziaria non alla luce del sole, ma di cui si hanno prove fondate possa essere vera, viene ridicolizzata dal suddetto conduttore radiofonico, con un esclamazione: "ma di che stiamo a parlare". Il soggetto in questione, berlusconiano malcelato, ma non è questo il problema, fà intendere di essere stato in gioventù il prototipo del perfetto boyscout attaccato alle mutande dei professori: "io all'università non ho mai partecipato a nessuna manifestazione, tantomeno a autogestioni o scioperi", disse una volta. Quando un ascoltatore fà presente che in Italia c'è un problema di concetrazione mediatica si infastidisce, e inizia con la solita tiritera: "Berlusconi è stato votato". Non vedo cosa c'entri di fronte a un dato di fatto. E se per caso qualcuno parla di complotti o di cose poco chiare, di cui in Italia siamo pieni, distrugge qualsiasi tesi. Ultimamente ha anche condotto una trasmissione su La7, Complotti, che appunto smonta le tesi ufficiali su alcuni intrighi italiani degli ultimi anni, prponendone una sua (degli autori). Ha anche scritto un libro, vera ciliegina sulla torta, dal titolo questo ponte s'ha da fare, nel quale si produce in un intemerata sul si al ponte sullo stretto di Messina. Non sto qui a parlarvi del libro, anche perchè non l'ho letto e non lo leggerò perchè non mi interessa una cosa così noiosa e stantia, ci sono già molti sponsor che premono per realizzarlo, ma vi sconsiglio sinceramente di ascoltare la sua trasmissione. Io l'ho fatto per un pò di volte e vi giuro che mi è bastato. Oltre tutto non dice nulla di nuovo, si riduce tutto a un mero talk show radiofonico. E di talk show in Italia siamo pieni fin soprai capelli.

mercoledì 21 ottobre 2009

Notte bianca di Contromafie, organizzata da Libera: 24 ottobre, casa del cinema di Roma (dalle ore 18:00 alle ore 2:00)


MafieStop - Notte bianca di Contromafie

24 OTTOBRE CASA DEL CINEMA A ROMA 18:00 - 2:00

A cura di Fausto Pellegrini, Marcella Sansoni, Roberto Morrione e Gaetano Liardo

In collaborazione con Teche Rai, Rainews 24, Premio Ilaria Alpi

Otto ore di storie di immagini e riflessioni che raccontano l'impegno quotidiano per affermare legalità e giustizia nel nostro paese.
Otto ore di documentari, inchieste televisive, molte dei quali inediti, reading teatrali e musicali che presentano l'impegno di uomini semplici e onesti che, giorno dopo giorno, hanno saputo dire No alla violenza, all'ingiustizia, alla prevaricazione delle mafie.
Storie comuni, ma eccezionali al tempo stesso: è questo il senso della notte bianca di Contromafie. Uno spazio per pensare e riflettere, aperto alla città di Roma, dove memoria ed impegno si presentano realmente per ciò che sono: due facce di una stessa medaglia, indivisibili, necessarie l'una all'altra.

18:00 - 20:00
Schiaffo alla Mafia di Stefania Casini
Morire per vivere, di Alfredo Macchi
Periferie - Bari. Giornata della memoria e dell'impegno 2008, di Fausto Pellegrini
Periferie - Libera nos a malo - giornata della memoria e dell'impegno 2009, di Fausto Pellegrini
Inchiesta - Costa nostra. Infiltrazioni mafiose nel litorale del basso Lazio, di Mario Forenza

20:00 - 21:00
saluti di Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, Barbara Scaramucci, direttrice di Teche Rai , Fausto Pellegrini, giornalista di Rainews 24
monologo tratto da Poliziotta per amore, di Nando Dalla Chiesa con Beatrice Luzzi

21:00
211: Anna di Paolo Serbantini e Giovanna Massimetti

22:00
Cinemovel in Libera Terra - a cura della Fondazione Cinemovel

22:30
Malaitalia, di Enrico Fierro e Laura Aprati, anteprima nazionale

23:30 - 2:00
letture tratte da "Nomi, cognomi e infami" di e con Giulio Cavalli
Ultima intervista a Paolo Borsellino, di Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi
Inchiesta - Mauro Rostagno - di Mario Forenza
Inchiesta - Costa nostra. Infiltrazioni mafiose nel litorale del basso lazio, di Mario Forenza
Inchieste di Fabrizio Feo
Libera Terra di Armando Ceste

I link dell'evento:

http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1568

http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1681

sabato 17 ottobre 2009

Fusti radioattivi a Castelmauro: la prefettura di Campobasso, tramite apposito decreto, ha finalmente autorizzato la rimozione.

Dopo 30 anni i fusti radioattivi stipati in una cantina di Castelmauro, piccolo centro basso molisano, verranno rimossi. E' di oggi (17/10/2009), infatti, la notizia che la prefettura di Campobasso ha affidato, con apposito decreto, l'allontanamento delle scorie e la messa in sicurezza a una temporanea associazione di imprese, costituitasi ad hoc, di cui fanno parte le tre società che si sono aggiudicate l'appalto: Nucleo, Campoverde e Protex. I bidoni, finora tenuti in condizioni di assoluta insicurezza, verranno trasportati in un centro di smaltimento alle porte di Francoforte, in Germania. Dalle ultime indiscrezioni, però, la storia nasconde ancora delle sorprese. Alcune rilevazioni effettuate nella cantina di via Palazzo numero 6, infatti, hanno fatto emergere la possibilità che oltre ai fusti di cui si è accertata l'esistenza potrebbero essercene degli altri nascosti o cementificati. Se questa ipotesi dovesse rivelarsi concreta, i lavori di rimozione troverebbero sulla loro strada un intoppo non da poco, che potrebbe comportare ritardi al momento non quantificabili. Il denaro necessario all'operazione di rimozione, circa un milione e mezzo di euro, verrà equamente stanziato dalla regione Molise e dalla protezione civile.

Soldi pubblici dunque, per una storia tutta privata. C'è bisogno infatti di spiegare, almeno a grandi linee, com'è possibile che dei rifiuti tanto pericolosi siano finiti all'interno di una cantina, in uno sperduto paesello del basso Molise. Era il 1979 quando il fisico nucleare Quintino de Notaris, originario di Castelmauro, decise di "portarsi il lavoro a casa" e di stipare circa duemila fusti conteneti scorie radioattive nella cantina situata sotto la sua abitazione, nel centro del paesino. Da allora molti si sono prodigati affinchè il sito venisse dismesso e assicurato, ma tra una cosa e l'altra non è mai arrivata la decisione risolutrice. Nel 2007, però, de Notaris muore a Cuba e il fratello Giovanni rinuncia alla scomoda eredità. La patata bollente passa dunque allo Stato e alla regione Molise, che dopo mille travagli, e alcune rilevazioni che hanno accertato un livello di radioattività nell'area "preoccupante", hanno finalmente deciso di risolvere il problema.

La società temporanea che si occuperà dei lavori ha già pianificato l'intervento. Tutta la zona verrà evacuata ed isolata e personale specializzato sistemerà i fusti su dei carrelli. Questi saranno poi spinti a circa 150 metri dalla cantina, in corso Italia, dove ad attenderli ci sarà un automezzo che, una volta caricato, farà la spola con il locale campo sportivo per l'ultimo passaggio. Da qui, infatti, i fusti verranno caricati su uno speciale autoarticolato che, prima di scaricare il tutto in Germania, farà tappa a Ravenna per la schedatura del carico. Non voglio "tirarla" a nessuno, ma speriamo bene.

Alcune foto della cantina di Quintino de Notaris, a Castelmauro, dove sono stipati i fusti radioattivi #1

Alcune foto della cantina di Quintino de Notaris, a Castelmauro, dove sono stipati i fusti radioattivi #2

venerdì 2 ottobre 2009

Presentato ricorso al Tar per l'annullamento della sanatoria per colf e badanti: segnalate irregolarità nella procedura telematica

L'associazione Dhuumcatu ha presentato, in data 30 settembre, una richiesta di annullamento del provvedimento del Ministero dell'Interno che "stabilisce la procedura telematica come modalità esclusiva per la regolarizzazione di colf e badanti. L'associazione, che si batte per la tutela dei diritti dei migranti, ha segnalato alcune "irregolarità" nelle procedure telematiche per la presentazion delle domande, che impedirebbero "alle persone giuridiche menzionate nella circolare ell'Inps, di accedere a tale procedura e presentare la dichiarazione di emersione". Dhuumcatu ha inoltre fatto sapere di aver presentato un un esposto al Quirinale e al Ministero dell'Interno, lamentandosi del "silenzio del governo e delle istituzioni alle tante richieste di modifica della norma, che si è rivelata contraddittoria". Le domande pervenute al portale del Ministero dell'Interno sono state 260.000, ben al di sotto delle aspettative che prevedevano tra le 500.000 e le 700.000 richieste. Il ministro Maroni ha però negato il flop della sanatoria, dicendo che "le stime erano del tutto sbagliate".

Immigrazione: business clandestino

Pubblicato su Terra il 29/09/2009

Luigi Menichilli

Il mercato illegale delle regolarizzazioni, con finte assunzioni permette a chiunque di ottenere, dietro un cospicuo pagamento, il permesso di soggiorno. A raccontarlo è Ashour, protagonista di una delle tante storie che attraversano la Capitale.

Ashour è un ragazzo marocchino di 29 anni, in Italia da 3. Durante la permanenza nel nostro Paese ha svolto un'infinità di lavori, sempre in nero, sempre malpagato, sempre da clandestino. «È da quando sono arrivato che desidero regolarizzare la mia posizione - racconta Ashour - ma i termini per farlo non me lo hanno mai permesso. Ora, con la sanatoria indetta per colf e badanti si è aperta per me una grande possibilità». Il giovane marocchino si riferisce al mercato illegale delle regolarizzazioni, che con finte assunzioni permette a chiunque di ottenere, dietro un cospicuo pagamento, il permesso di soggiorno. L’emendamento al decreto legge “anti-crisi”, presentato dal governo, consente, infatti, solo a una piccola fetta di clandestini di normalizzare la propria condizione, quelli appunto impiegati nei servizi alla persona, ma penalizza tutti gli altri. «Ho sempre fatto lavori stagionali - spiega Ashour -, non avrei avuto nessuna possibilità di mettermi in regola senza rivolgermi al mercato nero».

Un amico ha consigliato al giovane a chi rivolgersi per ottenere aiuto, in cambio però di 4mila euro: «ho incontrato questo italiano in una piazza della periferia romana - racconta il ragazzo - e dopo qualche ora mi ha portato da un anziano non autosufficiente che sarebbe dovuto diventare il mio finto datore di lavoro. Ho pagato 2000 euro subito, gli altri glieli darò quando otterrò i documenti. Naturalmente i contributi mensili sono a carico mio, se non li verso la persona che si è prestata al gioco chiama l'Inps, dicendo che non lavoro più per lui, e addio permesso di soggiorno». Questa è la condizione che vivono tantissimi immigrati, come Ashour, che per uscire dalla clandestinità arrivano a pagare cifre da capogiro. Figurano come badanti, dunque l’unico elemento necessario alla loro regolarizzazione è il certificato di non autosufficienza dell’anziano o, se si tratta di un invalido, la documentazione relativa all’accertamento dello stato civile di invalidità.

Casi frequenti quindi, che il Cii, Comitato immigrati in Italia, denuncia: «La situazione è grave - si legge in una nota -, i migranti vivono uno stato di crescente precarietà, alla costante ricerca di modalità di regolarizzazione che aggirino i requisiti richiesti. Sta prendendo piede un diffuso mercato abusivo, in cui il costo della domanda di sanatoria arriva fino a 7 mila Euro». Dello stesso parere è Dhuumcatu, un associazione che fornisce un servizio informativo per gli immigrati, attiva nella Capitale, che aggiunge: «Va meglio ad altri lavoratori, impiegati realmente come colf, ai quali il datore di lavoro richiede soltanto il pagamento della tassa per avviare la pratica e i contributi. Un ulteriore metodo utilizzato per volgere la legge a proprio vantaggio - sostiene Dhuumcatu -, in particolare da chi occupa clandestini per altre attività, è quello di far passare il dipendente come assistente di un proprio parente, anziano o infermo». In questo caso i 500 euro per la sanatoria più i contributi previdenziali verebbero detratti mensilmente dallo stipendio del lavoratore.

Al 25 settembre le domande di sanatoria inviate al portale del Ministero dell’Interno sono state 201.969, ben al di sotto delle previsioni, che contavano su un numero di richieste tra le 500 e le 700 mila. «Non ce l’ho con chi mi ha chiesto soldi per mettermi in regola - dice Ashour -, fare una cosa del genere è pericoloso, significa infrangere la legge. Anche chi si presta al gioco probabilmente non se la passa bene, e comunque mi da una possibilità che lo Stato non mi concede».








mercoledì 30 settembre 2009

Lazio:prendevano mazzette per rilasciare falsi permessi per cave, 6 persone agli arresti

Prendevano mazzette fino a 20mila euro per rilasciare falsi permessi ambientali per l'attività e la messa in sicurezza di cave. Sono sei i funzionari pubblici arrestati tra Viterbo e Roma nell'ambito dell'inchiesta iniziata un anno fà dalla Procura della Repubblica di Viterbo. Tra questi Giovannino Fatica, architetto della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Roma, Rieti e Viterbo e il suo collaboratore Antonio Di Ciccio. Agli arresti anche il capo servizio settore cave del comune di Viterbo Massimo Scapigliati, e l'addetto all'ispettorato di polizia mineraria ed energia della regione Lazio, Giuseppe De Paolis. Gli imprenditori al centro degli episodi di corruzione sono Domenico Chiavarino e il figlio Dario, residenti a Celleno, in provincia di Viterbo, i quali, per ottenere un'autorizzazione finalizzata alla messa in sicurezza di una cava, avrebbero pagato tangenti a vari funzionari pubblici. Gli episodi di corruzione avvenivano nell'ufficio del funzionario del comune di Viterbo, Massimo Scapigliati. Alcuni passaggi di mazzette sono stati documentati dalle forze dell'ordine con microcamere e microfoni.

Questo episodio è solo un ulteriore campanello d'allarme sulla situazione delle cave nel Lazio. Con un regolamneto che latita, o per lo più è assente, si lascia troppa discrezionalità agli uffici comunali, provinciali e regionali, che si ritrovano in mano la chiave di volta di un bussiness a sei zeri. Un bussiness che va, appunto, regolamentato da una legge nazionale più restrittiva, e controllato dalle forze dell'ordine preposte: corpo forestale dello Stato e Polizia mineraria, che non è altro che una pantomima priva di ogni efficacia. Noi avevamo già denunciato tutto questo e continueremo a farlo con altre inchieste sempre più puntigliose e dettagliate.

Video che documenta la presenza di acqua sorgiva sul piazzale di cava, nel sito minerario di località "Le Greppe" (Comune di Acquapendante).

lunedì 28 settembre 2009

Basalto, le miniere dei nuovi predatori (con foto scattate Dal Cisa, che documentano la perdita di acqua sorgiva)




Pubblicato su Terra mercoledì 23 settembre 2009

Riporto integralmente questo articolo tratto da Terranews.it. Sul nostro Forum l'argomento era stato portato in evidenza già l'anno scorso con l'articolo Cave Cave. La pubblicazione on-line, finché ancora sarà possibile, serve almeno a tentare di informare chi vuole essere informato. Peccato che nel territorio bolsenese la tutela ambientale sia spacciata da molti come privazione della libertà...

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Basalto, le miniere dei nuovi predatoriInviato da redazione il Mer, 23/09/2009 - 13:42

Rossella Anitori e Luigi Menichilli

REPORTAGE L’altopiano dell’Alfina, al confine tra Lazio e Umbria, è in pericolo. L’intensa attività estrattiva sta minando il bacino idrogeologico e le potenzialità di sviluppo del territorio. Viaggio nel vuoto legislativo di un Paese alla mercè degli interessi speculativi di una potentissima casta.

Una minaccia incombe sull’Altopiano dell’Alfina.
L’immensa riserva di acqua potabile al confine tra Lazio e Umbria e un paesaggio di inestimabile valore, patrimonio della comunità, potrebbero essere compromessi dalle mire affaristiche di pochi imprenditori minerari. L’attività estrattiva, intensa nella zona, costituirebbe infatti un pericolo per il territorio. A stimolare gli appetiti dei cavatori è il basalto, una pietra di origine vulcanica impiegata nelle massicciate stradali e ferroviarie. Un business estremamente remunerativo a cui le amministrazioni locali non porrebbero alcun limite. Ruspe e macchine escavatrici hanno segnato in modo indelebile l’orizzonte: l’altopiano è costellato da crateri profondi anche 60 metri. A farne le spese l’industria turistica e l’integrità dell’acquifero, serbatoio di gran parte del territorio circostante e cardine dell’equilibrio idrico del lago di Bolsena.
«L’attività estrattiva è incompatibile con la conservazione della risorsa idrica».
Lo sostengono le associazioni ambientaliste e i comitati civici, che da anni si battono per la difesa dell’Alfina. «Il nostro non è allarmismo ingiustificato - sostiene Vittorio Fagioli, coordinatore del Comitato interregionale per la salvaguardia dell’Alfina (Cisa) -. Non si tratta di ipotesi ma di affermazioni documentate: per esempio, nel Comune di Acquapendente, nella cava di basalto de Le Greppe, in coltivazione da parte della ditta Gioacchini Sante sas, il materiale fotografico raccolto dal comitato mostra senza alcun dubbio la fuoriuscita costante e abbondante di acqua dal fondo del piazzale di cava, che dista poche decine di metri dai pozzi comunali di captazione dell’acqua potabile ». Si tratta di filmati e fotografie che coprono un arco temporale che va dall’aprile del 2006 al maggio del 2009, rilevazioni che sono state inserite in un esposto-denuncia recentemente presentato alle Procure della Repubblica di Viterbo e di Orvieto, ai Noe di Roma e di Perugia e al Corpo Forestale dello Stato di Acquapendente.

Ad accompagnarci a ridosso del perimetro della cava
è Marco Carbonara, presidente dell’Assal, l'Associazione per lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia dell’Alfina. I mezzi sono fermi; numerosi rigagnoli d’acqua solcano l’area di scavo. «È come se questo territorio fosse una spugna imbevuta di acqua - spiega Carbonara -. Dove tagli, dove scavi esce acqua ». I cavatori però dicono che non hanno mai intercettato alcuna falda. «Sono 4 anni che seguiamo questa vicenda - aggiunge -. Faccio l’agricoltore e non ho tempo né soldi per fare questa battaglia. Eppure devo farlo. Sto portando avanti il lavoro che dovrebbero fare l’assessorato regionale all’Ambiente, il settore tecnico dell’ufficio di Acquapendente e, possibilmente, i sindaci di un paio di Comuni».


Sulla vulnerabilità dell’acquifero alfino
concordano numerosi studi idrogeologici, svolti sia da enti pubblici che da società private. «Siamo in presenza di un sistema a multifalda i cui acquiferi sono costituiti da colate laviche fessurate - sostiene il geologo Francesco Antonio Biondi, docente all’università della Tuscia -, con falde superficiali in interconnessione con quelle più profonde, e quindi a elevato rischio di inquinamento se esposte ad attività estrattiva. La contaminazione di una falda potrebbe portare, a caduta, all’inquinamento di tutte le altre». La perizia idrogeologica del professor Biondi trova conferma nelle valutazioni tecniche dell’Agenzia regionale per la salvaguardia ambientale (Arpa), che sottolinea «l’elevata vulnerabilità del sistema».


Il quantitativo di acque contenute nel bacino sotterraneo è enorme (stimabile per difetto in circa 1.000 litri al secondo) e la rilevanza dell’acquifero è interregionale: alimenta, infatti, sia i principali gruppi sorgivi umbri dell’area orvietana che il lago di Bolsena, bacino senza altri immissari, tanto che un diminuito afflusso di acqua dall’altopiano produrrebbe seri danni all’ecosistema lacustre e all’approvvigionamento di acqua potabile. «L’attività di cava è utile - conclude Biondi -, ma dovrebbe essere ragionata in un sistema più vasto di priorità». È sulla base di queste considerazioni che il Cisa richiede agli enti preposti di «assumere i necessari provvedimenti per la tutela della salute pubblica, e di escludere la possibilità di ampliamento e apertura di nuove cave sull’altopiano dell’Alfina».


In questo senso c’è un precedente importante:
una sentenza del Tar dell’Umbria (n. 554/2008) che ha bloccato l’autorizzazione, concessa dal Comune di Orvieto alla ditta Sece spa, per l’ampliamento della cava “del Botto” situata in località Canale, accogliendo il ricorso di un privato cittadino. Sentenza però che è stata prima sospesa e poi annullata dal Consiglio di Stato. Contro il Tar dell’Umbria si sono schierati la ditta escavatrice, l’Assocave e la Confindustria, appoggiati dal Comune di Orvieto e dalla Regione Umbria. «È vergognoso », commenta l’avvocato Fausto Cerulli, intervenuto ad opponendum, a tutela delle associazioni Wwf Italia, Legambiente Umbria, Amici della Terra e Ape, nel controricorso al Consiglio di Stato. Secondo Cerulli, quella del Tar dell’Umbria è stata una «sentenza storica», un fatto totalmente nuovo nella giurisprudenza amministrativa del Paese che ha riconosciuto il diritto di un cittadino a ricorrere in nome del rispetto dei valori ambientali e di tutela della salute garantiti dall’articolo 32 della Costituzione italiana.


«È incredibile che il Comune di Orvieto
e la Regione Umbria si siano schierate dalla parte del mero profitto individuale, facendosi carico degli interessi di una società privata, anziché far valere la salvaguardia dell’ambiente». Per l’avvocato «è evidente che sono entrati in gioco grandissimi interessi, perché se la sentenza del Tar avesse fatto stato avrebbe creato certamente problemi a tutti gli speculatori, facendo prevalere la tutela della salute e dell’ambiente sul profitto individuale». Nel controricorso Cerulli ha dunque esaltato il valore della decisione del Tribunale amministrativo facendo riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea (2/10/2001), che sancisce la «primazia» del bene comune su qualsiasi interesse economico privato.


«Paradossalmente conclude il legale
- il Consiglio di Stato motiva tra l’altro la propria decisione ammettendo che dare ragione al Tar avrebbe significato dichiarare incostituzionale la legge regionale umbra. Non aver sollevato la questione di incostituzionalità costituisce una gravissima inadempienza da parte del Consiglio di Stato». Nonostante questa battuta d’arresto, però, le associazioni non intendono gettare la spugna: «Stiamo valutando il ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo - dice Fagioli -. Quello in corso è uno scontro tra il mero profitto e il bene comune, una battaglia di enorme importanza, non solo giuridica, ma soprattutto politica».


L’impegno a volte premia.
Soprattutto se viene riconosciuto come tale dall’intera comunità. È successo a Benano, un paese alle porte di Orvieto di appena 200 anime nel periodo estivo. «I residenti non ne hanno voluto sapere di aprire una cava - racconta Roberto Minervini, biologo marino all’università della Tuscia, impegnato nella lotta per la salvaguardia dell’Alfina -. A nulla sono valse le rassicurazioni dei politici locali. Ricordo ancora, sono stati giorni di fuoco. Il no arrivò durante un’assemblea cittadina tenutasi nella piazza del paese. Il fronte del dissenso fu talmente compatto che il sindaco promise di non dare parere positivo all’apertura della cava, nonostante Provincia e Regione avessero già espresso il loro assenso».


Vinta una battaglia a Benano, la guerra continua
però in tutta l’Alfina, dove sono già stati approvati gli ampliamenti di alcuni scavi. La legislazione in materia, infatti, non è omogenea, e in assenza di un piano nazionale, spetta alle amministrazioni locali il compito di gestire l’attività estrattiva. Da nord a sud del Paese il quadro è piuttosto vario. Il contesto delle regole è generalmente incompleto: alcune Regioni - tra cui il Lazio - non si sono mai dotate di un piano cava, altre invece lo hanno fatto, ma in maniera sommaria. Discrezionalità e interessi sono all’ordine del giorno e spesso le disposizioni normative in materia fotografano semplicemente le richieste dei cavatori.

«Il Piano regionale dell’attività estrattiva dell’Umbria
prevede il diniego all’apertura di nuove cave - spiega Minervini -, ma è di manica larga riguardo l’ampliamento dei siti già esistenti. E in questo modo da un lato limita la concorrenza escludendo nuove imprese dal business, dall’altro concede alle ditte che gestiscono una cava di effettuare ampliamenti enormi, portando uno scavo anche da 4 a 40 ettari. Poi c’è il problema della riambientalizzazione - aggiunge il biologo -. La legge prevede che le aziende debbano ripristinare le aree di scavo, in realtà però questo obbligo spesso non viene ottemperato e il territorio rimane irrimediabilmente danneggiato. A volte i cavatori, dopo aver esaurito l’area mineraria, non ritombano le cave, e solo in Umbria ci sono circa 640 siti non ripristinati. Altre volte, invece, vecchie cave dismesse non ritombate vengono utilizzate per successivi ampliamenti ».


Un business agevolato, dunque, ed estremamente conveniente.
Il giro d’affari del settore minerario raggiunge cifre da capogiro. In un’intervista rilasciata al portale web Myexl, Gianluca Pizzuti, imprenditore a capo della Basalti Orvieto srl, ammette che il fatturato annuo «di una cava di medie dimensioni può raggiungere la quota di 5-6 milioni di euro». Mentre le aziende di produzione e commercializzazione di prodotti estrattivi che raggruppano più cave possono arrivare a fatturare «anche 35-40 milioni». Un ricavato considerevole, specie se si tratta di una torta che viene spartita tra pochi: tra lavoratori dipendenti e indotto il numero degli occupati è estremamente basso e le licenze di escavazione hanno costi esigui. Mentre i danni per la comunità sono ingenti e irreversibili.


A essere compromesse non sono solo le risorse idriche
e l’ambiente naturale, ma anche l’industria turistica che fa del paesaggio il suo punto di forza. È quello che sta succedendo a Proceno, un piccolo borgo medioevale in provincia di Viterbo, primo Comune che la via Francigena incontra entrando nel Lazio, e sede di un castello del XII secolo perfettamente conservato, dichiarato monumento nazionale. Da qualche tempo le ruspe hanno iniziato a mangiare la terra, ingurgitando assieme al basalto le potenzialità di sviluppo dell’area. «In stridente contrasto con la vocazione del territorio e con la sua stessa economia, che ha fatto della sostenibilità una strategia vincente, l’amministrazione comunale ha concesso l’apertura di una cava», spiega Giovanni Bisoni, presidente del Comitato per la tutela e lo sviluppo compatibile del territorio Alta Tuscia di Proceno. Là dove soltanto tre anni prima il Comune voleva istituire un parco a difesa della valle dello Stridolone, un torrente considerato sito naturalistico di interesse interregionale.

La cava oggi sovrasta il pianoro e incombe sul paese
a meno di un chilometro dalle prime case. Il cambio di destinazione d’uso da territorio agricolo a estrattivo è avvenuto nel 2007. Giusto un anno prima la Basalti Proceno srl aveva presentato alla Regione Lazio un progetto di apertura di una cava nella stessa località. Progetto di cui la popolazione del piccolo borgo è venuta a conoscenza solo un anno dopo, quando la pratica era già in fase di avanzata approvazione. «A Proceno quella della cava non è solo un’intrusione visuale - dice Bisoni -. L’azione degli esplosivi utilizzati nel processo estrattivo potrebbero rendere estremamente instabile l’intero gradone lavico con ripercussioni negative per l’abitato, specie per le costruzioni più antiche». In risposta a quella che viene considerata una scelta imprudente da parte del Comune, la Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Roma e Viterbo ha deciso di ampliare il precedente vincolo di tutela dal castello alla Rocca di Proceno.


«Questo provvedimento però non ha valenza retroattiva
- conclude Bisoni -, ma costituisce comunque un limite all’ampliamento del sito minerario». Dalla cava de Le Greppe a quella del Botto fino a Proceno, l’attività estrattiva sull’altopiano dell’Alfina deve essere regolamentata e contenuta. Le cave rischiano altrimenti di diventare un buco nero capace di annientare ogni energia che gli gravita attorno. Per scongiurare questo pericolo il Comitato per la salvaguardia dell’Alfina ha richiesto e ottenuto un tavolo di confronto interregionale che si terrà domani a Perugia. All’incontro a cui sono stati chiamati a partecipare, oltre le due Regioni Umbria e Lazio, le province di Terni e Viterbo e i Comuni di Orvieto, Porano, Bolsena, Proceno, Acquapendente, San Lorenzo Nuovo, Castel Viscardo, Castel Giorgio si cercherà di stipulare un accordo, un “contratto per l’Alfina”, per valorizzare le risorse ambientali e proteggere il territorio dalla voracità degli speculatori.

lunedì 1 giugno 2009

Resa dei conti sulla biomasse di Mafalda

Siamo ormai arrivati alla resa dei conti per quanto riguarda la centrale a biomasse di Mafalda. Sabato 6 e domenica 7 nel piccolo centro bassomolisano ci saranno le elezioni comunali, accomunate dal sindaco uscente, Nicola Valentini, promotore del "progetto Mafalda", a un referendum sull'impianto. Valentini aveva promesso alla cittadinanza una consultazione popolare sulla questione, ma poi, forse allarmatosi per la protesta montante, ha deciso di gettare il tutto nell'agone politico. Il furbo "democratico" (Valentini è del Pd), non si è però ripresentato davanti agli elettori come aspirante sindaco, ma ha optato per il basso profilo, candidantosi a consigliere comunale nella lista capeggiata dal giovane Paolo Di Iulio che, come è facile capire, sarà solo un burattino nelle mani di Valentini "the boss". A detta del candidato di centro-destra, Egidio Riccioni, avversario della "banda della biomassa", Di Iulio, consigliere nell'amministrazione uscente, è stato il più assenteista di tutto il consiglio comunale. Come a dire: a me non frega un cazzo, l'importante è esserci. Il ragazzo ha 27 anni, e anche se in politica c'è bisogno di rinnovamento non vedo proprio dove Di Iulio abbia acquistato le capacità per fare il primo cittadino di un, seppur piccolo, paese. In pratica, se eletto, sarà eterodiretto da "the boss" che proprio per questo ha scelto un personaggio di così bassa caratura politica. Speriamo solo che Montanari abbia convinto gli ultimi scettici sull'immane porcata che si sta realizzando a Mafalda. No alla biomassa. E non è un problema solo dei mafaldesi, ma di tutti i comuni del circondario, che potranno dire addio al tanto agognato sviluppo turistico, e all'ambiente sano nella quale ora vivono.

giovedì 28 maggio 2009

Stefano Montanari a Mafalda

L'appuntamento con lo scienziato Stefano Montanari, esperto di nanopatologie, e dunque di tutto ciò è connesso all'inquinamento da polveri sottili è stato rispettato e mentre vi sto scrivendo il dibattito è in corso. Io sono a Roma e dunque non ho potuto partecipare in prima persona, ma da quello che mi dicono i presenti l'affluenza di gente è significativa. Nei prossimi giorni conto di postare alcuni video dei passaggi più importanti ai fini della divulgazione e dello scontro politico che si è generato intorno alla questione. Speriamo solo che l'insigne scienziato sia di aiuto alla valutazione e alla decisione, in sede elettorale, dei cittadini mafaldesi, che tra qualche giorno dovranno scegliere il nuovo sindaco. In pratica, come ha affermato lo stesso sindaco Valentini, un referendum pro o contro la centrale a biomassa. A presto con nuove informazioni.

martedì 26 maggio 2009

Biomasse a Mafalda: il 28 maggio lo scienziato Stefano Montanari parlerà nel centro bassomolisano

Clikka sull'immagine per ingrandire eleggere il programma dell'incontro
Finalmente Montanari: è il titolo del post che, sul blog dei giovani mafaldesi , pubblicizza l'incontro del 28 maggio (ore 20:30, piazza della Libertà; Mafalda) con lo scienziato esperto di nanopatologie, direttore del laboratorio di ricerca Nanodiagnostics di Modena. Finalmente! L'esclamazione riguarda tutto quello che nei mesi scorsi è successo attorno all'affaire biomasse nel piccolo centro bassomolisano. Ed è un esclamazione di giubilo degli attivisti "No Biomasse" dopo la paura di non essere presi sul serio dalla popolazione, la mancanza di legittimità scientifica, e il groviglio politico e di interessi che intorno all'opera si è andato creando. Una paura più che giustificata,data l'enorme posta in gioco, che non riguarda solo coloro che si sono caricati sulle spalle l'onere e l'onore di difendere la propria terra da gente che, senza nessun colore politico, gioca una partita personale votata unicamente alla soddisfazione dei propri interessi. Naturalmente sto parlando del sindaco Valentini (sindaco di Mafalda), che nei mesi in cui il feroce (ma costruttivo) dibattito ha infiammato la vita pubblica dei mafaldesi, ha cercato in ogni modo di sviare il confronto, e di far apparire il movimento contro la centrale come un mero avversario politico. Posso assicurare che c'è molto di più in ballo e il sindaco lo sa bene, ma sa nache che affrontando la protesta sul terreno del merito avrebbe perso senza appello. Prima di tutto perchè la banca di cui è presidente è la prima finanziatrice del progetto; secondo perchè oltre ai suoi interessi, in sostanza, nelle tasche dei mafaldesi non andrà assolutamente nulla, ma nei loro polmoni si, ed è questo che preoccupa gli attivisti. Valentini dall'inizio della vicenda ha cercato in tutti i modi di creare, da navigato politico di paese, due fronti contrapposti: o con me, o contro di me. E la decisione di elevare le prossime elezioni amministrative a referendum sulle biomasse ( il sindaco del centrodestra che si gioca la poltrona con lui è contrario al progetto) è stata una mossa squallida, che dimostra come il sindaco è alla canna del gas degli argomenti a favore della sua causa. In un piccolo paese, spesso, una persona che da tanto tempo occupa la poltrona di primo cittadino, consolida dei rapporti con la popolazione che vanno aldilà della fiducia politica. Il legame tra elettore ed eletto può riguardare favori, posti di lavoro concessi, pratiche sbloccate e tanti altre piccole concessioni che, tutte lecite ci mancherebbe altro, al momento di decidere sull'operato di un politico offuscano la ragione, e non permettono un'analisi obiettiva. Valentini ha fatto quadrato intorno alle sue truppe, e di sicuro parecchie persone hanno timore di perdere alcuni privilegi acquisiti. Dunque il discorso che da tempo sento quando torno a Mafalda, sul fatto che se sei di sinistra devi votare a sinistra (Valentini è del Pd), a discapito della ragionevolezza e di quella che è l'impostazione nazionale della sinistra in merito all'ambiente, mi fa ridere. Cosa c'entra la destra e la sinistra in questa storia? Non si capisce. In un paesino popolato da neanche 2.000 anime l'agone politico più che da ideee è popolato da interessi, e questo sindaco tutto sta facendo tranne che tutelare gli interessi dei suoi cittadini/elettori. Per questo finalmente Montanari: il 28 maggio a Mafalda si parlerà del merito della questione, si toccheranno temi che riguardano la qualità della vita nella nostra epoca, sempre più popolata da rifiuti e fumi velenosi. Si parlerà di un paesino che con questa decisione si giocherà molto del suo futuro. Spero che nel segreto dell'urna gli elettori scelgano valutando i fatti e non le minacce politiche di un affarista senza vergogna.


La popolazione si mobilita contro il progettato scempio ambientale








lunedì 25 maggio 2009

Finale di Champions: tra le stelle anche i prezzi si adeguano

Prezzi alle stelle per i biglietti della finale di Roma in programma mercoledì tra Man. United e Barcellona. A due giorni dallo storico incontro tra le due migliori squadre del mondo, i tickets rimasti invenduti, come da norma, sono schizzati alle stelle. Arrivando a costare in alcuni casi anche più di 2.000 euro. Va bene, il match è di quelli da far venire l'aquolina in bocca anche al meno appassionato di calcio. Ma 2.000 euro, cazzo.... Sperando che la serata romana possa regalare grandi emozioni anche a noi poveri "pallonari" costretti davanti allo schermo, per ovvi motivi economici. E possibilmente vinca il migliore, cioè il Barcellona, perchè di questi inglesi non se ne puo più. Non fosse per altro che il vademecum "somministrato" agli angioletti/hooligans in trasferta nella città eterna, che a leggerlo sembra debbano andare a cedere una partita a Baghdad. Forza Barca.