Sono ormai passate due settimane dalla notte infernale che sconvolse l'Abruzzo. Questo tempo è servito per seppellire le numerose vittime, metabolizzare, per quanto possibile, la nuova condizione di vita in cui la popolazione si trova, fare una prima stima dei danni e iniziare a porsi delle domande sul perchè e sul come un terremoto d'intensità non elevatissima ha potuto creare un tale sfacelo. Domande leggittime, necessarie, appropriate, ma che non incontrano il favore di tutti. Una buona fetta della maggioranza di governo, con il premier in testa, è convinta che la ricerca di eventuali responsabilità e illeicità, tutte comunque da provare, nella costruzione degli edifici o nella gestione della prevenzione sia di intralcio alla ricostruzione post-sisma. La politica del "fare" contrapposta al mondo delle chiacchiere, con il mito del "fare" splendidamente incarnato da Berlusconi. Per il cavaliere non è ancora il momento, oltre che scavare tra le macerie, di scavare anche nel passato della politica edilizia aquilana che, a prima vista, non sembra davvero essere stata irreprensibile. Per fortuna in giro c'è gente convinta della possibilità di poter fare più cose contemporaneamente. E poi si sa, Berlusconi non ha mai amato il lavoro svolto dalla magistratura e dai giornalisti che producono inchieste, specialmente quando questi vanno a ficcare il naso nei suoi affari. Comunque delle chiarificazioni su alcuni punti ancora oscuri sembrano essere proprio necessari. Tanto più che in questi giorni nel capoluogo abruzzese sono successe cose alquanto strane, proprio attorno alle macerie degli edifici in odore di malaffare. La procura dell'Aquila ha dovuto porre sotto sequestro i calcinacci della casa dello studente, della prefettura e dell'ospedale per evitare che si perdessero delle prove determinanti, dato che la rimozione dei detriti, e la loro distruzione, avanzava repentinamente proprio in questi siti. Il perchè si sia scelto di iniziare a ripulire la città proprio dai luoghi sulla quale i pm stavano indagando non ci è dato sapere. E i giornalisti che in questi giorni hanno cercato di scoprire qualcosa, avvicinandosi alle macerie per vedere cosa stava succedendo, si sono visti sbarrare la strada da un cordone impenetrabile di forze dell'ordine, neanche si trovassero a Fort Knox. Strano vero? La denuncia di quello che stava avvenendo è partita proprio da alcuni giornalisti del quotidiano Terra, che non si sono limitati alle conferenze stampa e alle dichiarazioni ufficiali dei politici, ma hanno deciso di voler fare il loro mestiere per poter informare i loro lettori. Niente di speciale se non fossimo in Italia e la nostra stampa non fosse ridotta lei a un cumulo di macerie. Il lavoro dei giornalisti, in relazione al sisma, non può vertere soltanto sulle pur importanti storie dei sopravvissuti, o sulla situazione nelle tendopoli. E' fondamentale non far dimenticare al grande pubblico in che condizioni versano i nostri connazionali abruzzesi, ma altrettanto importante è capire se si poteva, e se si potrà evitare nuovamente il ripetersi di alcune situazioni, tipiche della nostra penisola. La magistratura e la stampa in questo sono alleati. L'informazione pesa come un macigno sulla coscienza civile di una nazione e rappresenta sia la memoria a breve termine che quella a lungo termine di un popolo. Dunque il cavaliere si metta l'animo in pace, i rompicoglioni ci saranno sempre. Anche in un paese addormentato come il nostro.
lunedì 20 aprile 2009
Terremoto in Abruzzo: il lavoro dell'informazione
Pubblicato da
Kush
alle
4/20/2009 05:00:00 AM
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