martedì 21 aprile 2009

Evviva l'Italia


Raccontare le storie di disperazione, paura e angoscia di coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la tragedia del terremoto. Stimolare i ricordi più dolorosi per indurre l'intervistato alla commozione. Prediligere, appunto, non le testimonianze di caparbietà e rivalsa di fronte all'imponderabile, ma quelle di angoscia per il futuro. Sono questi i punti cardine del modus operandi adottato da gran parte dei media italiani per raccontare il terremoto in Abruzzo. Centinaia di giornalisti arrapati alla ricerca di ciò che visibilmente commuove e tocca lo spettatore. Non una ricerca del perchè, e del come le cose siano avvenute. L'apologia del paese che non si arrende passa per centinaia e centinaia di dichiarazioni e interviste, strappate a persone con ancora addosso i segni freschi della tragedia. Purtroppo è questo un copione ben definito che si ripropone ogni qual volta è possibile giocare sulle emozioni di chi guarda la tv o legge un giornale. Non c'è nulla di male nel voler mostrare, attraverso i racconti della gente, lo spaccato di una realtà tragica, ma inflazionando quest'aspetto si corre il comprovato rischio di tralasciare tutto il resto. A costo di essere brutale alcune cose bisogna dirle. Da cittadino italiano che ha a cuore le sorti del suo paese, e che ha voglia di sapere cosa succede per interagire e tentare di migliorare lo stato delle cose, mi chiedo: ma che mi frega di sapere di centinaia di racconti di fughe da edifici che stanno crollando, di altrettante storie di persone che hanno perso tutto, che non sanno dove andare, che fare, se poi nessuno mi spiega dietro a tutto questo cosa c'è? Per fare in modo che determinate cose non si ripetino, e che finalmente in questo paese si rispettino realmente le persone, a monte delle tragedie, non solo dopo che i fatti sono inevitabilmente avvenuti e il politico di turno si presta piangente all'obbiettivo delle telecamere, abbiamo bisogno di ben altro rispetto al profluvio di storie strappalacrime ascoltate in queste due settimane. Quanto spazio hanno avuto in tv o sui giornali, fatte le dovute eccezioni, la descrizione delle dinamiche che hanno portato al crollo di edifici strategici come la questura, la prefettura o l'ospedale? E ancora, quanto spazio ha avuto la notizia che in pratica si stavano distruggendo le prove più importanti per l'accertamento delle responsabilità? Per me poco. In pratica L'Aquila e le zone circostanti sono diventate il palcoscenico sulla quale è andata in scena la bontà, il coraggio e la solidarietà di un intera nazione, e non, come sarebbe più ovvio e giusto, il dramma della inefficienza e dello sprezzo per la vita umana, intesi come malaffare nel campo edile e carenze sul piano della sicurezza antisismica degli edifici. Ma purtroppo questi discorsi sono d'intralcio alla ricostruzione, perchè in questo momento bisogna essere uniti per poter poi un domani commettere di nuovo gli stessi errori, in barba a tutte le povere vittime, vive o morte, di questo terremoto. L'Italia è così, l'amore per se stessa vien fuori nelle tragedie, e forse solo nei drammi si può vedere un po' di spirito nazionale. Se qualcuno si mette in testa di cercare la verità su una regione come l'Abruzzo, nella quale si è costruito dove non si poteva, dove al posto di materiali e tecniche adatte si è cercato di risparmiare, per lucrare come porci sui cadaveri che queste scelte hanno portato, se si cerca di capire perchè una regione che l'Ingv (istituto di geofisica e vulcanologia italiano) ha dichiarato a rischio simico uno, poi magicamente viene declassata al secondo livello, con tutto ciò che questo concerne in materia di edilizia, si è bollati come afflitti da paranoie varie e amanti dei complotti.La verità su questa situazione sta purtroppo in una constatazione dura e che non ammette repliche: nel nostro paese non è importante scoprire dove e come le cose non vanno, non è importante perchè seppure venissero accertate responsabilità e scoperti i modi sbagliati di fare le cose, chiuse le bare si continuerebbe a fare come sempre, senza rispetto. Allora volemose bene, evviva l'Italia.

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