venerdì 3 aprile 2009

Ripensare le nostre città

Da un pò di tempo mi è tornato prepotentemente a ronzare in testa il pensiero che noi uomini, nella nostra continua ricerca delle comodità attraverso il progresso tecnologico, abbiamo smarrito il senso vero del concetto di "benessere". Non sono più tanto sicuro che i tanti ausili alla vita di cui ci avvaliamo abbiano poi un reale beneficio sul nostro spirito, sulla nostra psiche. Sian ben chiaro, non voglio assolutamente fare un discorso new age nè tantomeno propormi come avversario della modernità. Figuratevi! Io sono totalmente convinto, e in un prossimo post ne parlerò cercando di stimolare a proposito un piccolo dibattito, che l'evoluzione biologica naturale dell'uomo sia arrivata al capolinea e che l'unico modo per non arrestare la nostra rincorsa all'adattamento è la massiccia integrazione dell'uomo con la macchina. Dunque lungi da me un pensiero antimoderno. No, il mio ragionamento è molto più pratico, anche se inevitabilmente si avvale di una dimensione filosofica. Un piccolo esempio che potrà sembrare banale e scontato: la mattina presto, quando ognuno di noi si reca a lavoro o per altri impegni è costretto ad uscire, le tecnologie a nostra disposizione dovrebbero, in tutta comodità, garantirci dei rapidi spostamenti. Sto parlando di automobili, motocicli, tram, autobus e quant'altro. Ma la destinazione pratica e il concetto per la quale abbiamo realizzato questi mezzi, proprio perchè ognuno di noi vuole usufruirne, vengono quotidianamente traditi. Nelle nostre città il groviglio di mezzi di trasporto provocano il congestionamento degli spazi preposti al movimento e al deflusso. In questo modo la principale destinazione pratica, lo spostamento veloce, per la quale questi mezzi sono stati concepiti è tradita dalla democraticità (la possibilità per ognuno di noi di usufruirne) di questi ultimi. Per non parlare poi della comodità di utilizzo. Ci ritroviamo, sempre più spesso, ad avanzare a passo d'uomo in un ambiente estremamente inadatto alla vita. Siamo noi, infatti, che ci adattiamo a vivere parte della nostra esistenza su strade urbane che non sono state concepite per accogliere anche l'uomo, ma hanno l'unico scopo di agevolarne velocemente il transito. Oltre alla morfologia di questi ambienti e alla loro ergonomicità, distante dall'integrazione con esseri fatti di carne, vi è il problema dell'ulteriore impraticabilità portata dal transito degli automezzi. Spesso rimango sbalordito a guardare i corpi degli esseri umani inghiottiti dal continuo frastuono che provocano lo sfregare, il cozzare e lo strisciare dei materiali con la quale sono realizzati gli automezzi. Guardo con ansia il contorcersi dei volti, il rigetto dei polmoni che si esprime con continui colpi di tosse, di fronte agli effluvi provocati dal fetido alito dei motori. La nebbia puzzolente e velenosa che si alza, soprattutto nella stagione calda, stimola la mia immaginazione influenzata dalla visione di film e dalla lettura di fumetti ambientati in un era post-atomica. Vi farà ridere, ma m'immagino a vivere quotidianamente al centro di una strada, nell'aridità di quel luogo. Non c'è nulla di più inadatto alla vita. Per di più questi luoghi non sono confinati al solo scopo di favorire la circolazione delle macchine, al contrario diventano spesso luoghi nella quale, spingendo al massimo il nostro spirito di adattamento, si dipana la quotidianità degli esseri viventi. In questi spazi avvengono incontri, si hanno conversazioni, si consumano cibi e bevande, ci si rilassa, insomma si vive. Mi sorge prepotentemente il dubbio che l'essere umano ha abdicato al concetto occidentale di benessere, perchè non vedo giovamento dallo stordimento del cervello umano causato dalla miriade di stimoli, presenti nei luoghi comuni delle nostre città. Pensateci bene: chi ha la precedenza in una strada, ma anche su un marciapiede se abbiamo a che fare con un incivile, tra un auto e un uomo? Le persone si spostano, si fanno piccole e si accuattano ai muri, cominciano a zigzagare confuse pur di dar spazio agli automezzi. Sono un pò confuso perchè mi hanno sempre detto che, almeno nella cultura occidentale, l'individuo, il cittadino è al centro dell'impegno delle sovrastrutture sociali, e che queste hanno come unico scopo di garantire la possibilità di vivere bene. Ma così stiamo cedendo il passo ai nostri bisogni non primari. E' vero, il mondo umano si è infilato in un solco da cui difficilmente potrà uscirne. Ma è necessario ripensare i luoghi del nostro vivere. La destinazione d'uso e il concetto per la quale vengono realizzati alcuni mezzi. Quest'imbroglio del "prezzo del benessere" deve finire. Questo non è benessere. Abbiamo bisogno di spostarci, di lavorare, di agevolare le nostre mansioni, di velocizzare l'interazione fisica degli esseri umani, ma non crederò mai alla fandonia che per avere tutto questo saremo per sempre costretti a vivere in un ambiente così malsano.

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